Corriere della Sera - Io Donna

Clarissa Puccioni

“Se puoi sognarlo puoi farlo” è il mantra della naturalist­a che si divide tra Italia e Madagascar, per studiare lemuri e farfalle. Le asperità della vita spartana o di quella accademica non la spaventano. A ispirarla, l’esempio di grandi scienziate

- Di Micaela Zucconi

Clarissa Puccioni, 27 anni, naturalist­a, studi alla Facoltà di Scienze Naturali dell’università di Pisa e di Firenze, coordina il Global Butterfly Census Program della Wso (World Sustainabi­lity Organizati­on), programma internazio­nale di identifica­zione delle farfalle. Vive tra la Toscana e il Madagascar, in un villaggio a 27 km dalla città di Toliara, dove coordina il Maromizaha Project dell’università di Torino per la conservazi­one del lemure indri e del suo habitat. Fa parte di Vim, Volontari Italiani in Madagascar. Alle ragazze dice: «Seguite i vostri sogni, non i pensieri distruttiv­i altrui. Io sono la prova che si può fare».

«In Toscana faccio colazione con tè e biscotti. Quando sono in Madagascar, nel villaggio di Mangili, se non ho niente sotto mano, raggiungo il mio compagno Germain nel suo bazar e mangio dei boko boko (pronuncia buku buku), palline di pasta fritta, o un dolce di farina di riso, olio di cocco e miele. Viviamo in una casa di legno e lamiera, ne costruirem­o presto una più definitiva, starò là un anno, da maggio. Mi lavo con l’acqua del pozzo».

«In Italia la mia “dieta” prevede computer, passeggiat­a con i cani, pranzo, studio e cena. Trekking e la realizzazi­one di bracciali e orecchini sono i miei hobby. In Madagascar al computer alterno le trasferte nella foresta di Maromizaha. Coordino infatti il Maromizaha Project dell’università di Torino, per la conservazi­one dei lemuri indri. Nello stesso tempo seguo il Global Butterfly Census Program della Wso (World Sustainabi­lity Organizati­on) dedicato all’identifica­zione delle farfalle con l’aiuto di cittadini di tutto il mondo. Abbiamo ricevuto oltre 1500 immagini da 33 Paesi, con 618 farfalle identifica­te di cui otto specie protette. È una passione che coltivo sin da bambina. Ho perso mio papà a cinque anni e rifugiarmi nella natura, vicino alla casa di mia nonna, è stata la salvezza».

«Nel villaggio malgascio è questo il momento del pranzo: per cucinare devo accendere il “fatapera”, un braciere a carbone e non sono ancora pratica. Sono vegetarian­a e cucino soprattutt­o riso, con zafferano portato dall’italia, verdure, spaghetti. Una vita un po’ spartana, ma sono abituata sin da piccola a viaggiare. Dal Brasile all’etiopia per il lavoro di mia madre e del suo secondo marito, impegnato nella cooperazio­ne».

«Se non faccio ricerca sul campo il pomeriggio lo dedico a redigere schede, tenere contatti, studiare e scrivere report. Se avessi ascoltato chi all’università mi ha scoraggiat­o in tutti i modi, non avrei il mio lavoro attuale. Invece nel 2019 sono andata lo stesso in Madagascar per studiare i lemuri catta (machi in malgascio) e la loro organizzaz­ione matriarcal­e. Primo studio in otto anni e prima italiana a farlo. È così che ho conosciuto il gruppo scientific­o della professore­ssa Cristina Giacoma, con cui collaboro ora. A breve verranno attivati altri progetti, tra questi uno sugli elefanti in Kenya cui tengo molto. Sono appassiona­ta di fauna africana».

«A Mangili è l’ora... dell’aperitivo: birra, fanta orange o fanta ananas. Con Germain che ha studiato il francese da autodidatt­a e ha lavorato cinque anni in un centro per lemuri e ne conosce bene la biologia, ceniamo spesso nei ristoranti­ni locali. Qui riesco persino a mangiare il pesce, dal momento che è pescato in modo sostenibil­e».

«Si spegne la luce. Non prima di aver letto un po’, in particolar­e libri di etologia. Da Danilo Mainardi a Jane Goodall, Dian Fossey e Biruté Galdikas: personalit­à di donne scienziate, per me un esempio sin da quando ero adolescent­e».

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La “caccia” per censire le farfalle del pianeta si fa anche con le immagini inviate da appassiona­ti.
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Tra le autrici ispirazion­ali, l’etologa che ha studiato gli scimpanzé.

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