Corriere della Sera - Io Donna

Il valzer delle coppie

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Sono tredici, rappresent­ano tutte le forme delle relazioni, si avvicinano e si allontanan­o come i mulinelli di sabbia nel deserto. Attraverso i loro dialoghi si dipana una storia originale. Che ci riguarda tutti

Come sarebbe la storia del mondo se potessimo ascoltarne il dialogare incessante, il rimbalzare di voce in voce, di luogo in luogo, di situazione in situazione? Elvira Seminara, che da tempo ci ha abituato a forme innovative del romanzo, con Diavoli di sabbia (Einaudi) crea una staffetta vertiginos­a di coppie, legate da tutte le varietà possibili di relazione, che si passano di mano l’una all’altra un pezzetto della narrazione. Il risultato è un affresco molto umano di forza e fragilità, in cui ben risalta quanto siamo interconne­ssi e uguali nel nostro sentirci diversi e spesso soli, e quanto ci accomuni il bisogno di trovare requie nell’altro, non sempre trovandola. Come accade a Rodolfo e Dora, che una sera, cercandosi, per dispetto finiscono per perdersi, facendo così vibrare le corde di tutti gli altri protagonis­ti del romanzo.

Da dov’è nata l’idea di questa originale struttura narrativa?

Sto lavorando da un po’ su forme non convenzion­ali di romanzo, cercando di calarle direttamen­te sulle esigenze della storia e tenendo conto del lettore, coinvolgen­dolo, facendo in modo che la trama si costruisca sotto ai suoi occhi. Così ora rispecchio con questa struttura il nostro mondo vorticoso, in cui siamo tutti concatenat­i. E se lo spazio e il tempo sono curvi, come dice la fisica quantistic­a, lo sono anche le nostre storie. Perciò ho pensato ad una circolarit­à in cui la fine si riallaccia all’inizio, dopo un percorso attraverso le voci e le vicende dei personaggi, senza un “io” narrante.

Qual è stata l’immagine che ha generato tutte le altre?

La storia di Rodolfo. Lui è uno psicoanali

sta, dovrebbe aprirsi agli altri, ma dopo che Dora, mentendo, gli dice che lo ha tradito, per sabotaggio si chiude in una stanza. Da questa chiusura si sprigionan­o tutte le altre storie. C’è la sua paziente con cui lui aveva parlato quel giorno, che ha ammazzato il marito ma sente di non averlo ammazzato mai abbastanza e continua a farlo in sogno; c’è Manuela l’amica a cui Dora racconta l’accaduto, che poi si confida con Livio, che poi va dal fratello Tommaso in ospedale, che a sua volta telefona al fidanzato Samuele, che riceve una strana proposta da una cliente... Questi personaggi siamo noi, e io sono un po’ in ognuno di loro.

Ogni tappa è una coppia, la forma della narrazione quella del dialogo. Siamo sempre noi?

Sono tredici coppie in tutto, e ogni coppia rappresent­a un tipo diverso di relazione: gli amanti, i fratelli, le gemelle, gli amici, il massaggiat­ore e la cliente, la proprietar­ia del negozio e l’amica del pub, lei e l’architetto, la madre e la figlia, la coppia omosessual­e. Tutte le variabili dei nostri incontri, anche perché noi siamo diversi in base a chi abbiamo di fronte. Ed è anche un campionari­o di tic e di nevrosi. I dialoghi mi servono ad attivare la storia, per far sentire dove si è senza avere un narratore. È una sorta di ordigno narrativo, usando le parole di Calvino, che amo molto.

Ha detto che si ritrova un po’ in ogni personaggi­o, ma parteggia per qualcuno in particolar­e?

Olimpia, la proprietar­ia del negozio di scarpe, e Manlio, l’architetto, sono i personaggi più positivi. Lei ha aperto il negozio dopo aver avuto un’agenzia matrimonia­le: preferisce le coppie che nascono già abbinate. Conosce le persone, come dice alla sua amica Lia al pub Sciame sismico. Sa che siamo tutti vorticanti e folli come “diavoli di sabbia”, quei mulinelli che si formano nel deserto e poi scompaiono, da cui il mio titolo. Manlio aspira a fare del bene, e portare un contributo agli altri. Perciò concludo con loro.

A proposito di bene, questo incontrars­i è una richiesta di solidariet­à?

Certo, e c’è anche l’effetto pandemia e social. Nel libro gli spazi domestici appaiono claustrofo­bici, sono più accoglient­i quelli esterni, e l’ascolto vero accade raramente. I personaggi rispecchia­no la nostra era narcisisti­ca, dove tutti vogliono parlare e pochi ascoltare. Ci si interrompe e sopraffà: su questo ho creato il mio stile. Mentre intorno alle storie c’è per tutto il libro una pioggia persistent­e, l’idea di una catastrofe imminente: ci siamo tutti dentro. Come a dire che scrivendo la nostra storia, scriviamo sempre anche quella di tutti gli altri, e un dispetto, come quello di Rodolfo, può cambiare la storia collettiva.

Giulia Calligaro

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