Corriere della Sera - Io Donna
Nei giorni migliori
ei giorni di avvilimento, perché mi sembra che la parità di genere sia in stallo, penso a quanto la Storia sia mutilata, privata - come a lungo è stata- dell’apporto di più di metà della popolazione. Quante donne siano passate invisibili attraverso i secoli, senza lasciare traccia nella scienza, nelle arti, nel buon governo. Escluse a priori dall’istruzione, anche se dotate, limitate da compiti minori, passate di mano in mano, dal padre al marito, come pezzi di corredo, le ricche come le povere. Riparate in convento le più fortunate, pochissime protette da famiglie lungimiranti, in sostanza mai pervenute. Solo oggi cominciano ad arrivare le attribuzioni corrette di molte opere, nella musica, nell’arte, nella letteratura: molte erano fatte risalire a uomini - il marito, il padre - perché inconcepibile non fosse così.
In quelli in cui sono meno pessimista rimango ammirata da quanto grandi siano state le grandi, le poche che hanno alzato la testa, quanto coraggio e ostinazione abbiano dimostrato per farsi sentire, ascoltare, prendere in considerazione, lottando contro gli uomini, le convenzioni, i veti. Pioniere perché fuori dal coro e dalle correnti, solitarie e isolate ma più libere. Quanto siano belle le loro storie, ad esempio nel mondo dell’arte cui è dedicato questo numero, dove per secoli le donne sono state osteggiate in tutti i modi. Non potevano miscelare i colori, poche commesse dalla Chiesa, era proibito loro lo studio dell’anatomia, frequentavano di nascosto le accademie di nudo, sopportavano commenti malevoli. Nel migliore dei casi erano tenute a bottega dai padri, camuffando il talento o vestendo panni maschili, nascoste al pubblico per non dare scandalo. Eppure ce l’hanno fatta, le Artemisie Gentileschi, le Rosalbe Carriera, le Sofonisbe Anguissola.
Nei giorni migliori (perché ci sono anche quelli, eh) penso che le donne, tutte insieme, hanno compiuto la più lenta, mite e straordinaria rivoluzione di sempre. E che la loro mano, il passo diverso, l’occhio divergente, si cominciano a sentire. La 59esima edizione della Biennale Arte di Venezia inaugurata ad aprile è curata da una donna, Cecilia Alemani; come titolo della mostra ha scelto “Il latte dei sogni” da un libro di favole di Leonora Carrington, pittrice e scrittrice surrealista, spirito ribelle, più volte rinchiusa in ospedale psichiatrico, forte e misteriosa. Le sue figure fantastiche accompagnano le opere delle artiste (per la prima volta in maggioranza) e degli artisti nella sfida a superare il pensiero occidentale dell’uomo “misura di tutte le cose” per aprirsi a nuove suggestioni e inedite alleanze. E chissà quante fantasie potranno sgorgare dalle sorgenti rimaste bloccate per secoli e che oggi parlano libere. Sarà una sinfonia a mille voci, limpide come non le avevamo mai sentite, oppure oscure, emerse da altre profondità, pronte a confondersi. E noi siamo finalmente lì.
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