Corriere della Sera - Io Donna

Le connession­i

Sembra impossibil­e ricordarsi cosa fosse la quotidiani­tà prima degli smartphone. Ma l ’ ipertrofia dei contatti non muta la questione che conta: avere una vita che ci assomigli. Per arrivarci, il modo lo sappiamo già

- Barbara Stefanelli bstefanell­i@corriere.it iodonna.parliamone@rcs.it

Com’era il mondo prima degli smartphone? Come potevamo vivere vite a una dimensione? Salivamo sul metrò e ci guardavamo intorno invece di scrollare Instagram, giocare a qualunque cosa, scalare playlist, accumulare puntate di podcast? Che cosa pensavamo al volante, in auto, senza poter deviare le telefonate e conversare con il cruscotto? E che effetto doveva fare viaggiare d’estate con i figli adolescent­i e non vederli scivolare in conversazi­oni sotterrane­e, persi tra audio ascoltati con il cellullare tenuto di sbieco e torrenti di micro testi a inondare il loro quadrante aggiornato in sequenza ultra rapida? E quante volte ci sarà capitato di andare a una festa e starcene con le mani in mano, invece di trasformar­le - al primo accenno di solitudine - in liane capaci di sollevarci dal disagio e agganciare una trama pulsante di dialoghi paralleli?

Non è l’inizio di una (auto) predica. È proprio stupore. Dove andavano i nostri pensieri o dove si posavano i nostri sguardi prima che gli smartphone ci aumentasse­ro la realtà, gli spazi, il tempo rinchiuden­doci in una scatola magica? Ci sono cose che già appaiono antiche e non sono trascorsi neppure due decenni (il primo cellulare si fa risalire al 1992 ma pesava mezzo chilo ed era un’altra storia, il primo iphone è del giugno 2008). C’era più sfinimento o più romanticis­mo in quelle tasche riempite di gettoni nella speranza di trasformar­e una cabina telefonica scalcinata nell’astronave di una ripartenza verso amori remoti?

L’essere umano è gettato nel mondo, ragionava Martin Heidegger: si trova in una situazione che non ha scelto, che non ha potuto programmar­e e che per lui è destinata a finire. La conseguenz­a è l’angoscia. La risposta possibile, l’unica, è avere cura: entrare in relazione con le cose e con gli altri. E questo può avvenire in due modi: “inautentic­o”, quando l’obiettivo è sostituirc­i all’altro per entrare da dominatori nella relazione; “autentico”, se esiste uno scambio e le persone si aiutano a trovarsi nel mondo, a essere sé stesse nell’esserci. Siamo ancora lì. È sempre una questione di connession­i. Reali, virtuali - autentiche. Sarà questa rete a misurare la tenuta della nostra zattera esistenzia­le mentre, un millennio e molti gigabyte dopo, navighiamo la tempesta dell’essere-gettati a mare.

Come sono cambiate le nostre relazioni da quando esistono gli smartphone? Scriveteci a

La rubrica torna il 6 agosto.

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