Corriere della Sera - Io Donna
Vicini vicini
a più bella storia d’amore che ho letto negli ultimi mesi è stata una vera sorpresa. Premessa: ho spesso sospettato che l’amore fosse una favola raccontata alle ragazzine per tenerle buone mentre i ragazzi si misuravano con i super eroi. Ma con l’età si diventa più possibilisti (e più sentimentali). Forse è proprio per questo che mi ha colpita al cuore la storia di Paul e Prudence, opaca nelle premesse e insolita nello sviluppo, intrecciata alle carriere della politica francese, intessuta da note fulminanti sui tic e le ossessioni di una società ormai esaurita, un po’ distopica ma in fondo molto contemporanea, complicata da un un attacco
informatico, da un anziano che ha perso la parola e da una famiglia normalmente disfunzionale. In tutto ciò ci si diverte parecchio e alla fine si piange pure. Ma questo - il pianto finale liberatorio - vale probabilmente solo per chi, come me, nasconde il lato romantico con la propensione al melò.
Mi perdonerete dunque se in questo numero dedicato all’appuntamento con le letture delle vacanze (da pag. 42) mi presento con un libro uscito già a gennaio, ma che a oggi è imbattuto nella
mia categoria “libri che parlano di qualcosa di cui non parla mai nessuno”: “Annientare” di Michel Houellebecq (La nave di Teseo). Dove il tema sotteso che tiene insieme, sotto traccia, il filo del racconto è la non fine di un matrimonio. La costruzione di un amore, cantava Ivano Fossati, spezza le vene delle mani. La distruzione può durare un attimo: tempo di uno sguardo. Ma la demolizione di un amore, insegna il libro, è una distrazione incessante che inizia in sordina, con ritmi che non combaciano più, tempi solo paralleli, poi si allarga, non ci si parla e non ci si tocca, e calano gelo, indifferenza e distanza anche se sopravvivono, con decoro borghese, stima e rispetto reciproco.
Epperò Paul e Prudence, congelati ormai da troppi gradi di separazione, si ritrovano. Con una delicatezza infinita, quasi con stupore, ritrovando a piccoli gesti, ancora intatto, il loro mondo
segreto: bastava smuovere la memoria, riprendere la propria storia, osare senza rischiare, e l’umano desiderio di intimità era solo avvolto da un lungo sonno di cui si era perso il motivo e il senso.
Ecco, quel risveglio malinconico di tenerezza e nostalgia insieme, la capacità istintiva di recuperare calore, fiato e vita l’uno dall’altra, in una coppia di lungo corso ormai abituata a essere
solo compagni di strada, che comunque non è poco, mi ha parlato dei nostri giorni incerti. Vivere vicini ma a distanza controllata può essere giustificato solo da una malattia, ma di quelle da combattere subito, con i vaccini appropriati. Perché fa davvero troppo male.
L
Buongiorno Danda, sono quella che, fino a pochi minuti fa, pensava di essere un’elegante quasi giovane signora, anche se oggi le cinquantenni si fanno passare per ragazzine. Purtroppo, dopo aver sfogliato il servizio di moda su I look più belli per spose amiche e parenti sul n° 27, mi scopro essere una vecchia passata di moda.
Deve essere per forza così perché “ai miei tempi” vestirsi di nero a un matrimonio era considerato una cafoneria tanto quanto l’abito bianco se non eri la sposa, ed erano fuori luogo anche gli abiti trasparenti, a meno che non fossi la spogliarellista alla festa di addio al celibato dello sposo.
Già faccio fatica a digerire “l’americanata” dell’abito lungo di giorno, ma il nero?
A un matrimonio? D’estate? In contesti così belli come quelli che illustrate? Perché?
Laura Merli