Corriere della Sera - Io Donna
Itinerario nella patria di Canova
Un tour nello spirito dei luoghi che l’artista, nonostante le peregrinazioni, considerò sempre casa sua. Da Possagno, dove nacque, ad Asolo, Bassano del Grappa, Padova. E ovviamente Venezia, dove Palazzo Treves de’ Bonfili riserva una sorpresa
Non sarebbe possibile per Gentile da Fabriano o Raffaello nelle Marche, e neppure per Leonardo in Toscana. Per Antonio Canova, sì. Un itinerario nello spirito dei luoghi. Nel Veneto. Canova ebbe la provvidenziale intuizione, perseguita dal fratello Giovanni Battista Sartori, di legare alla sua casa un museo della sua intera opera. Così si parte dal paese della nascita, Possagno, per arrivare a quello della sepoltura, Possagno. L’inizio e la fine coincidono, negli spazi del Museo Gypsoteca, tra 1757 e 1822, e il viaggiatore appassionato potrà, dopo averlo immaginato nei lunghi anni di peregrinazioni nel mondo, ritrovare Canova nelle sue
stanze venete, in particolare a Venezia. Gli itinerari canoviani contemplano inoltre Bassano del Grappa, Crespano del Grappa, Padova, Vicenza, Altivole, Verona, Asolo, Pagnano d’asolo, alcuni tra i luoghi
più poetici ed evocativi della Venezia di terraferma. Asolo, Altivole: la Regina Cornaro.
Canova sente il Veneto come la sua patria, e ne respira il paesaggio: compatibile con Roma come lo fu per Mantegna e Palladio. Il Pantheon trasferito a Possagno ne è la dimostrazione, il coronamento dei paesaggi della Camera degli Sposi e della Rotonda. Quando Napoleone gli chiede di restare a Parigi, il suo legame troppo forte con l’italia, con Roma,
con il Veneto, lo induce a tornare, scrivendo nel 1802 all’amico Antonio d’este: «Non credere che io resti
qui, che non mi tratterrei per tutto l’oro del mondo. Veggo troppo chiaro che vale più la mia libertà, la mia quiete, il
mio studio, i miei amici, che tutti questi onori». È bella questa dichiarazione di un uomo che rimane umile e preferisce stare in Italia, piuttosto che essere onorato in Francia.
Negli itinerari si incontra, solitario, nelle belle stanze del municipio di Asolo, l’immacolato Adone. Dal modello, conservato al Museo Correr di Venezia, furono derivati quattro marmi. Due erano ancora, alla morte di Canova, nel suo studio, per essere finiti. Il primo fu completato da un collaboratore e venduto a Charles William Steward, marchese di Londonderry, tra il 1826 e il 1827;
il secondo fu donato dal fratello, nel 1836, al Comune di Asolo: «In memoria di quel Canova che in altri tempi volle essa aggregato alla propria Cittadinanza». Una visita carica di devozione, prima
di entrare nel Duomo per le due “Assunte” di Lorenzo Lotto e di Jacopo Bassano. Percorsi che si incrociano.
A Bassano, fra molte reliquie canoviane, sarà preziosa e curiosa testimonianza del momento più intimo e segreto dell’artista il raro bozzetto delle Tre Grazie, acquisito in diritto di prelazione da un antiquario torinese, e proveniente dagli eredi degli scultori Fantacchiotti, e prima appartenuto all’abate Melchiorre Missirini, amico di Canova. Il bozzetto fu concepito da Canova per Joséphine di Beauharnais, moglie di Napoleone, come prima idea per il marmo all’ermitage di San Pietroburgo. Pura poesia.
A Padova, nella sede originaria in palazzo Papafava, sono il Perseo trionfante, il pugilatore Creugante ela Ebe. Francesco Papafava acquistò da Canova a Roma nel 1817 il Gladiatore Borghese el’ Apollo del Belvedere, per “accompagnare” i gessi canoviani che il fratello Alessandro aveva acquistato 11 anni prima. Si istituì un confronto, nel salone da ballo del palazzo, tra stile classico e neoclassico, tra antico e moderno. È una emozione ritrovare le sculture nelle nicchie dove furono poste.
A Venezia, oltre gli incunaboli canoviani al museo Correr, imperdibili sono le reliquie all’accademia, fra le quali l’urna di porfido che conteneva la mano di Canova, irrisa nel celebre “epitaffio” di Roberto Longhi: Antonio Canova, «lo scultore nato
morto, il cui cuore è ai Frari, la cui mano è all’accademia e il resto non so dove». Ma il viaggiatore desioso non sarà appagato fino a che non potrà vedere, nei solenni spazi di palazzo Treves de’ Bonfili dove le volle, dopo la morte dell’artista, l’amico
ferrarese Leopoldo Cicognara, presidente dell’accademia di Belle Arti di Venezia, le due statue colossali di Ettore e Aiace, provenienti dallo studio romano. Cicognara ne suggerì l’acquisto al barone Jacopo Treves de’ Bonfili che accettò anche per prestigio sociale. Le opere furono inviate a Venezia nel 1827, e Treves provvide ad adeguare il salone del suo palazzo sul Canal Grande per accogliere le due sculture, tappa obbligatoria durante le visite degli imperatori e di personaggi illustri e nelle grandi occasioni. Come questa.