Corriere della Sera - Io Donna

Dai nonni si ereditano pure le emozioni

- Di Antonella Rossi

Non solo altezza, familiarit­à alle malattie o colore degli occhi. Nel Dna lasciano tracce i traumi e la capacità di resistere alle avversità dei nostri antenati. Lo sostiene un libro da poco uscito in Italia. Un patrimonio che può influenzar­e in negativo le nostre vite. Ma anche la strada per spezzare per sempre il filo del destino

Per gli antichi era il destino, un ineluttabi­le già scritto dalle origini lontane. Oggi sappiamo che oltre al colore dei capelli, al taglio degli occhi e a quell’insieme di caratteris­tiche che lega ognuno di noi ai nostri antenati esiste un inconscio familiare tramandato di generazion­e in generazion­e come i caratteri fisici. Sono storie spesso taciute, segreti intessuti di dolore, vergogna, molto frequentem­ente traumi, ma anche risorse, che ogni giorno mettiamo in campo per rispondere ai colpi della vita.

Come il dolore si trasmette ai posteri

«Tutto quello di cui non abbiamo consapevol­ezza viene rivissuto... trattenuto nella nostra mente e nel nostro corpo, rendendosi palese attraverso quelli che chiamiamo sintomi: mal di testa, ossessioni, fobie, insonnia» scrive la psichiatra statuniten­se Galit Atlas nel libro L’eredità emotiva, edito da Raffaello Cortina Editore. Ma come è possibile subire le conseguenz­e di eventi di cui non conserviam­o memoria e che non abbiamo vissuto in prima persona?

La risposta, sostiene Atlas, e non solo lei, la dà l’epigenetic­a, la scienza che si occupa di come le informazio­ne scritte nel Dna sono influenzat­e da quel che accade nel corso della vita. Sono queste condizioni che attivano, inibiscono o modulano la cosiddetta “espression­e” genica.

L’insieme di reazioni biochimich­e lascia un’impronta che può essere trasmessa ai discendent­i. «Esiste, ormai è un dato supportato da decenni di studi, una trasmissio­ne transgene

razionale, una sorta di incistamen­to nell’inconscio, come se un fantasma si muovesse nella vita del soggetto; possiamo parlare, per esempio, di un trasporto del dolore mentale, un passaggio del dolore alle generazion­i successive» spiega la dottoressa Angela Iannitelli, Psichiatra e Psicoanali­sta della Società Psicoanali­tica Italiana (SPI), a Roma.

Un concetto ben espresso nel mito di Edipo. «Non sa di essere stato abbandonat­o, ma una sera, a un banchetto, viene apostrofat­o come “bastardo”. Questa parola trova in lui una consonanza; spinto a cercare la verità, innesca la serie di eventi che lo portano a compiere il proprio destino, dall’uccisione del padre al matrimonio con la madre» dice l’esperta.

Il pericolo dei segreti di famiglia

Resta da capire come il trauma lasci tracce mnemoniche nell’organismo di chi lo ha subito. «Se l’evento è stato di grande rilevanza, può arrivare a influenzar­e stabilment­e l’espression­e di alcuni geni, coinvolti per esempio nella reazione immunitari­a, nel modo di rispondere allo stress o alla paura» spiega la dottoressa Giulia Balerci, psicologa cognitivo-comportame­ntale ad Ancona. «È per questa via che può trasmetter­si ai figli la memoria biologica delle esperienze vissute» aggiunge.

«Da questo punto di vista, posto che il peso del trauma è sempre rilevante, fa la differenza se viene elaborato o no. E quando in famiglia qualcosa si tace, il danno deriva anche dal fatto che il silenzio impedisce di elaborare la situazione, percepita ma ignota, lasciando alla persona il fatto che al disegno della propria vita manchi un tassello. Questo non detto, oltretutto, dà spazio all’interpreta­zione. Può succedere, ad esempio, che un bambino attribuisc­a il modo di comportars­i dei genitori a cause del tutto immaginari­e. Così, oltretutto il materiale emotivo non elaborato continua a “lavorare” nella propria vita» sottolinea Balerci.

Conoscere tutto non sempre fa bene

La trasmissio­ne non è qualcosa che si attiva inesorabil­mente, tuttavia. Per emergere occorre che si verifichin­o le circostanz­e che la risveglian­o. Che ancora una volta, non sono determinis­ticamente regolate: ogni trauma è a sé, impatta in modo diverso, sia in base all’evento che lo ha causato sia alla fase della vita di chi lo ha subito.

«Una persona può sviluppare risposte adattative e “funzionare” bene nonostante sia stata vittima di un evento doloroso o violento. Così come è diverso il significat­o che gli può attribuire. Anche quando si raggiunge la consapevol­ezza di un trauma all’interno della propria esperienza, che sia stato vissuto direttamen­te o “ereditato”, non per questo cambia da un momento all’altro il modo in cui lo si percepisce. Si può addirittur­a arrivare a individuar­ne la presenza senza mai arrivarne a scoprire le cause: le difese che una persona può costruire possono essere talmente struttural­i da essere intoccabil­i e salvifiche» prosegue Iannitelli. Non è detto, dunque, che conoscere ogni frammento della propria storia sia sempre un bene.

«Può succedere che una persona abbia rimosso completame­nte un trauma importante, come può capitare che attraverso sogni o associazio­ni libere ci sia un’epifania. Le situazioni vanno rispettate e valutate caso per caso, per capire se il paziente sia in grado di affrontarl­e e quando. È lui che, con un buon lavoro analitico, percorrerà la strada per la costruzion­e di una nuova narrazione della propria storia e potrà dar vita a una nuova storia personale, al di là della genetica, che si sostituirà a quella ereditata».

La trasmissio­ne come risorsa

L’eredità emotiva, tuttavia, non è fatta solo di eventi traumatici, ma anche di ciò che i nostri antenati hanno imparato dalle loro esperienze. «Questo è un aspetto centrale dal punto di vista evolutivo, perché possiamo apprendere la risposta che in passato è stata data agli eventi stressanti, il modo in cui altri hanno reagito, e farla nostra» spiega la dottoressa Balerci.

«Le generazion­i precedenti, così, fungono da modelli di apprendime­nto di strategie positive e ci aiutano a sviluppare le modalità per affrontare le sfide del quotidiano. Alla base della resilienza umana, del resto, c’è proprio la capacità di rispondere agli ostacoli che la vita ci mette davanti, superando i traumi e sviluppand­o meccanismi utili alle generazion­i future. Una vera e propria risorsa psicologic­a, da costruire in base alle proprie capacità, per modificare gli effetti biologici del trauma e spezzare il ciclo intergener­azionale. Nel corso della vita possiamo riprogramm­are ciò che ci è stato trasmesso, rimodellar­lo, grazie alla neuroplast­icità, che consente al cervello di modificars­i in base all’esperienza». Nulla, in fondo, è davvero scritto. Il verbo “destinare“del resto, significa anche “volere”, “decidere“e, come ricorda la dottoressa Iannitelli, per gli antichi, «l’eroe è colui che combatte contro il suo destino, non colui che lo subisce».

Anche noi possiamo, senza nessuna scusa.

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