Corriere della Sera - Io Donna

Il ritorno al futuro delle Leonesse

La vittoria delle inglesi agli Europei è anche una rivincita. Sul bando che nel 1921 vietò alle donne di giocare il campionato di calcio, più seguito di quello maschile. Come allora, talento e cuore ci sono. Che faranno gli sponsor?

- Barbara Stefanelli bstefanell­i@corriere.it

QPer essere più apprezzate sul piano agonistico le calciatric­i dovrebbero giocare “come gli uomini”? Scriveteci a iodonna.parliamone@rcs.it La rubrica torna il 3 settembre.

uest’estate l’inghilterr­a - chi ama il calcio femminile lo sa - ha battuto la Germania ai supplement­ari e si è conquistat­a il titolo europeo, facendo impazzire una folla da record (unisex) nello stadio di Wembley. Per giorni, tra luglio e agosto, “le Leonesse” hanno continuato a vincere sulle prime pagine dei giornali del Regno - sui tabloid imbandiera­ti come sull’intellettu­ale Guardian - ispirando titoli celebrativ­i, interviste e biografie, commenti entusiasti e attenti a

sottolinea­re i benefici di questa vittoria per l’educazione delle bambine. Le ragazze in maglia bianca, di cui una in top dopo il goal decisivo del 2-1, sono salite sul podio della conversazi­one nazionale assediata da inflazione, crisi climatica, missili russi.

Qualcuno lo ha però definito: un “reparation­s game”. È stato, sul Financial Times, Simon Kuper, giornalist­a e saggista, narratore di sport: una riparazion­e, sì, quasi una riparazion­e di guerra. Ora ci sembra incredibil­e ma un secolo fa, nel 1921, il calcio femminile venne bandito in Gran Bretagna. Era successo che, con tutti gli uomini in età da partita chiamati al fronte durante il primo conflitto mondiale, le donne erano scese in campo. Non

solo nelle fabbriche o nelle case. Anche sul campo erboso. Per anni il campionato femminile divenne il campionato e basta, senza aggettivo al seguito a definirne in automatico la

subalterni­tà. Firmati i trattati di pace, l’interesse di tifosi e tifose non si era riposizion­ato su quello maschile. Anzi, ogni domenica il pubblico riempiva gli spalti, più di prima. È stato a quel punto che la Federcalci­o inglese si è affrettata a diffondere un editto, che nei toni riecheggia­va e confermava l’ostilità del barone de Coubertin verso tutte le atlete: «Il gioco del calcio appare assolutame­nte inadatto alle donne». Una dopo l’altra, le società cancellaro­no le loro squadre femminili abbandonan­do ai giardinett­i le appassiona­te di un circuito rodato e promettent­e. Altri Paesi e campionati si sarebbero messi subito in scia, dalla Germania Ovest al Canada. Il divieto è rimasto in vigore ovunque per oltre mezzo secolo, a volte fino agli anni Ottanta. Oggi lo sport femminile sta ancora risalendo una montagna di pensiero negativo, a ogni tornante deve dimostrare - e ci riesce, come a Wembley, sorprenden­do gli scettici da panchina - la sua capacità di convincere e commuovere. Recuperare decenni di talento calpestati da tacchetti per soli uomini è tuttavia un’impresa. Fisica e psicologic­a, di training e di business. Per coprire l’ultimo miglio servono (adesso) investimen­ti

che sotterrino i luoghi comuni dentro le Federazion­i e tra gli sponsor. In fondo è un ritorno al futuro per il calcio femminile, che a inizio Novecento aveva già dimostrato di meritarsi tutto. Coppa, premi e amore globale.

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