Corriere della Sera - Io Donna
In spiaggia il “dibattito” sulle elezioni andrebbe proibito?
Una anomala campagna elettorale estiva, diciamo balneare, sta sconvolgendo le vacanze estive 2022 degli italiani. Per la prima volta nella storia repubblicana dal 1948 a oggi, saremo in fila ai seggi a ferie appena concluse: fino all’anno scorso i giornali ospitavano in queste stesse settimane qualche articolo sulle vacanze dei politici. Stavolta invece si giocano il posto in Parlamento e la maggioranza governativa, a metà agosto si presentano simboli e contrassegni elettorali. E così è disgraziatamente prevedibile che sotto l’ombrellone, o a metà di una passeggiata in montagna o in campagna, o magari nel bel mezzo di un viaggio all’estero, qualche membro della famiglia (genitori, figli, fratelli e sorelle, cognati/e) o della comitiva al seguito decida di aprire il dibattito da tribuna
politica: il post-draghi, le acque agitate nel centrodestra o nel centrosinistra, le incertezze del centro.
In nome dell’equilibrio psicofisico e del bisogno di ricarica, è obbligatorio bloccare tutto alle prime avvisaglie. Il confronto partitico-politico, nel nostro Paese,
non è mai un pacato scambio di opinioni: non solo tra gli addetti ai lavori ma anche nelle case. Il nostro carattere nazionale (basta seguire i talk-show nostrani, esclusiva
televisiva italica) è fatto per le spaccature. Perché rovinarsi i quindici giorni di stacco dal lavoro, quello spazio
di disimpegno che ci aiuta a ritrovare le forze perdute e a riannodare qualche legame allentato dall’abitudine o dalla scarsità di dialogo? Nei Paesi scandinavi, nei mesi
successivi al debutto di Casa di bambola di Ibsen nel 1879, le famiglie altoborghesi inviavano i cartoncini di invito a
cena con una piccola postilla: «Si prega di non parlare di Nora». Ovvero di non litigare furiosamente su quel provocatorio manifesto proto-femminista contro il matrimonio. Non sarebbe male se si seguisse l’esempio: stasera vi va di venire a cena da noi qui al mare, ma a
patto che non si parli di elezioni, di politica, di chi andrà a palazzo Chigi, di chi vincerà, delle alleanze in gioco? Vogliamoci bene ad agosto. E poi, tutti a votare il 25 settembre. Felicemente, e affettuosamente, divisi.
TPerché gli italiani si scaldano tanto a parlare di politica? Scriveteci a iodonna. parliamone@rcs.it. La rubrica torna il 3 settembre.
ra le tante conseguenze piacevoli del fare il giornalista che si occupa di politica interna, ce n’è una che riguarda l’estate. Ed è il vedere lo spazio circostante il proprio ombrellone trasformarsi in una specie di arena civica, nel piccolo teatro di un dibattito pubblico, che avviene a 40 gradi all’ombra. Credo accada anche ai giornalisti che si occupano di spettacoli, di esteri, di sport, anche se la politica - di questi tempi - riesce ad accendere gli animi più del calciomercato.
La mia prima estate da giornalista, facevo lo stage al Riformista diretto da Antonio Polito, l’ho trascorsa in
redazione, a Roma. L’anno successivo, tornato finalmente al mio mare, una rivoluzione. Sotto l’ombrellone, con mio
papà Giorgio a condurre il dibattito dando la parola a uno o all’altro, era iniziato un via vai sempre più intenso di conoscenti e non, tutti con la loro domanda da rivolgere “al giornalista”, domanda che poi innescava il dibattito. Era
una pioggia di “che fa questo? /che fa quello?”, finalizzata al tentare di anticipare come si sarebbero organizzati centrosinistra e centrodestra in vista delle elezioni politiche che si sarebbero svolte dopo qualche mese, nel 2006. «Ma ora che fa Berlusconi?», «Cha fa Prodi?», «Che fanno Mastella e Bertinotti?», «Bossi e Fini staranno ancora assieme?».
Quindici anni dopo, sono cambiate molte cose. Quest’anno c’è la prima campagna elettorale estiva della
storia della Repubblica. E le persone che si radunano attorno all’ombrellone del giornalista politico sono sempre più numerose. Sarà per colpa dei troppi social o dei tanti talk
show, ma nessuno dei convenuti è lì per chiedere che cosa farà Letta o la Meloni, Berlusconi o Calenda.
No, sono lì per dirtelo, ciascuno con la sua certezza, sempre granitica. «Vedrai che alla fine fanno il governo Tizio e Caio», «Caio fregherà Sempronio», «Sono sicuro che Mattarella consentirà» oppure «Finisce che Mattarella non consentirà». A me, devo dire, piace anche così.
Mi manca però mio papà, che non c’è più, a cui il rito del dibattito politico sotto l’ombrellone piaceva tantissimo.