Corriere della Sera - Io Donna

In spiaggia il “dibattito” sulle elezioni andrebbe proibito?

- Paolo Conti pconti@rcs.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA Tommaso Labate @Tommasolab­ate © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Una anomala campagna elettorale estiva, diciamo balneare, sta sconvolgen­do le vacanze estive 2022 degli italiani. Per la prima volta nella storia repubblica­na dal 1948 a oggi, saremo in fila ai seggi a ferie appena concluse: fino all’anno scorso i giornali ospitavano in queste stesse settimane qualche articolo sulle vacanze dei politici. Stavolta invece si giocano il posto in Parlamento e la maggioranz­a governativ­a, a metà agosto si presentano simboli e contrasseg­ni elettorali. E così è disgraziat­amente prevedibil­e che sotto l’ombrellone, o a metà di una passeggiat­a in montagna o in campagna, o magari nel bel mezzo di un viaggio all’estero, qualche membro della famiglia (genitori, figli, fratelli e sorelle, cognati/e) o della comitiva al seguito decida di aprire il dibattito da tribuna

politica: il post-draghi, le acque agitate nel centrodest­ra o nel centrosini­stra, le incertezze del centro.

In nome dell’equilibrio psicofisic­o e del bisogno di ricarica, è obbligator­io bloccare tutto alle prime avvisaglie. Il confronto partitico-politico, nel nostro Paese,

non è mai un pacato scambio di opinioni: non solo tra gli addetti ai lavori ma anche nelle case. Il nostro carattere nazionale (basta seguire i talk-show nostrani, esclusiva

televisiva italica) è fatto per le spaccature. Perché rovinarsi i quindici giorni di stacco dal lavoro, quello spazio

di disimpegno che ci aiuta a ritrovare le forze perdute e a riannodare qualche legame allentato dall’abitudine o dalla scarsità di dialogo? Nei Paesi scandinavi, nei mesi

successivi al debutto di Casa di bambola di Ibsen nel 1879, le famiglie altoborghe­si inviavano i cartoncini di invito a

cena con una piccola postilla: «Si prega di non parlare di Nora». Ovvero di non litigare furiosamen­te su quel provocator­io manifesto proto-femminista contro il matrimonio. Non sarebbe male se si seguisse l’esempio: stasera vi va di venire a cena da noi qui al mare, ma a

patto che non si parli di elezioni, di politica, di chi andrà a palazzo Chigi, di chi vincerà, delle alleanze in gioco? Vogliamoci bene ad agosto. E poi, tutti a votare il 25 settembre. Felicement­e, e affettuosa­mente, divisi.

TPerché gli italiani si scaldano tanto a parlare di politica? Scriveteci a iodonna. parliamone@rcs.it. La rubrica torna il 3 settembre.

ra le tante conseguenz­e piacevoli del fare il giornalist­a che si occupa di politica interna, ce n’è una che riguarda l’estate. Ed è il vedere lo spazio circostant­e il proprio ombrellone trasformar­si in una specie di arena civica, nel piccolo teatro di un dibattito pubblico, che avviene a 40 gradi all’ombra. Credo accada anche ai giornalist­i che si occupano di spettacoli, di esteri, di sport, anche se la politica - di questi tempi - riesce ad accendere gli animi più del calciomerc­ato.

La mia prima estate da giornalist­a, facevo lo stage al Riformista diretto da Antonio Polito, l’ho trascorsa in

redazione, a Roma. L’anno successivo, tornato finalmente al mio mare, una rivoluzion­e. Sotto l’ombrellone, con mio

papà Giorgio a condurre il dibattito dando la parola a uno o all’altro, era iniziato un via vai sempre più intenso di conoscenti e non, tutti con la loro domanda da rivolgere “al giornalist­a”, domanda che poi innescava il dibattito. Era

una pioggia di “che fa questo? /che fa quello?”, finalizzat­a al tentare di anticipare come si sarebbero organizzat­i centrosini­stra e centrodest­ra in vista delle elezioni politiche che si sarebbero svolte dopo qualche mese, nel 2006. «Ma ora che fa Berlusconi?», «Cha fa Prodi?», «Che fanno Mastella e Bertinotti?», «Bossi e Fini staranno ancora assieme?».

Quindici anni dopo, sono cambiate molte cose. Quest’anno c’è la prima campagna elettorale estiva della

storia della Repubblica. E le persone che si radunano attorno all’ombrellone del giornalist­a politico sono sempre più numerose. Sarà per colpa dei troppi social o dei tanti talk

show, ma nessuno dei convenuti è lì per chiedere che cosa farà Letta o la Meloni, Berlusconi o Calenda.

No, sono lì per dirtelo, ciascuno con la sua certezza, sempre granitica. «Vedrai che alla fine fanno il governo Tizio e Caio», «Caio fregherà Sempronio», «Sono sicuro che Mattarella consentirà» oppure «Finisce che Mattarella non consentirà». A me, devo dire, piace anche così.

Mi manca però mio papà, che non c’è più, a cui il rito del dibattito politico sotto l’ombrellone piaceva tantissimo.

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