Corriere della Sera - Io Donna
Corpo e velo Buona domenica
La discussione con la collega francese era stata accesa e i distinguo interessanti. Nel suo Paese, mi spiegava, in nome della laicità dello stato il velo (così come la kippah ebraica o il turbante dei Sikh) è vietato nelle scuole e negli uffici pubblici. I simboli religiosi cosiddetti “ostentativi”, quelli che dichiarano con evidenza un’appartenenza religiosa, sono invece permessi per strada e naturalmente in casa. I simboli più discreti, come croci o gioiellini, non sono presi in considerazione, mentre il burka, che copre completamente il volto, è vietato dappertutto per ragioni di pubblica sicurezza (e questo vale anche in Italia). La polemica, allora, divampava in Francia soprattutto per il divieto di velo nelle scuole e negli uffici, e a me sembrava che opporre intrasigenza a intransigenza non portasse a nessuna via d’uscita.
Di lì a poco, sulle spiagge francesi, avrebbero multato alcune donne musulmane che indossavano il burkini, il costume da bagno che, come una muta, copre tutto il corpo nonché l’unico accettabile secondo le regole del “modest dressing”, la moda rispettosa musulmana. Leggevo le polemiche e mi sembrava non ci fosse mai un punto di equilibrio. La libertà di svelarsi, pensavo, non
può diventare un obbligo. Vietare, quando si tratta del corpo delle donne, viene troppo facile a tutti. Che ognuna scelga liberamente, senza costrizioni.
Intanto, qualcuno cominciava a insinuare che la taglia 42 fosse il burka delle donne occidentali. Un’utile provocazione, che scardinava un altro tabù, l’accanimento femminile per uniformare il corpo al modello unico. Magro, giovane, sorridente (sempre sorridente), praticamente perfetto. Da perseguire in totale libertà, certo, ma condannando sempre alla frustrazione, perché anche le più belle soffrono di imperfezioni che il resto del mondo nemmeno immagina.
Masochismo? Forse destino genetico del corpo delle donne, che per generare vita suscita desiderio ed è sempre esposto al giudizio altrui. Per questo oggi si combatte il “body shaming”, la discriminazione in base all’aspetto fisico, e trionfa la “body positivity” (a pag. 36) , che invita a far pace con il nostro sé corporeo, quello che non scegliamo ma indossiamo tutti i giorni.
Ecco perché, dopo tanto discutere, interrogarsi sulle culture altrui, ma anche ragionare sui nostri limiti cercando di procedere verso il meglio, perché questo è il progresso nella fetta di mondo in cui abbiamo la fortuna di vivere, oggi mi sembra ancora più criminale e fuori tempo l’imposizione violenta del velo alle donne iraniane. Ancora più inaccettabile che sul corpo, un tema così delicato e così centrale della femminilità e della vita, tra le anse della nostra carne, cali la scure vigliacca del maschio padrone e predatore. Invece di velare le donne, si bendino gli occhi degli uomini incontinenti che non sanno resistere alla curva di una ciocca di capelli.
Cara Danda,
ho letto il suo Sogno o son desta?, sul n° 39, cronaca del suo percorso dalla zona ZTL di Milano verso la periferia e ho qualche osservazione da fare.
Siccome penso che a Milano si debba poter circolare anche in auto, in corso Buenos Aires, togliendo il parcheggio lungo tutta la via si sarebbero potute mantenere le due corsie per senso di marcia. In viale Monza invece, togliendo pochi centimetri di spazio alle biciclette, ci sarebbero state due corsie per le auto, che ora spesso invadono la ciclabile.
Il problema è che Milano è un parcheggio a cielo aperto e i controlli sono pochi: chi lascia la macchina in divieto di sosta difficilmente verrà multato.
Insomma: cambiare va bene, ma non così.
Tommaso Grilli
Caro Tommaso,
lo confesso: sono di parte. Sia perché ciclista da sempre, sia perché la mia asma è peggiorata e ho constatato che le sale d ’attesa dei reparti di pneumologia sono sempre più affollate e i pneumologi sempre più preoccupati.
Aggiustamenti e miglioramenti - come lei suggerisce - sono certo sempre possibili. Ma continuo a chiedermi perché il centro di Milano, Area C per intenderci, sia ancora così trafficato nonostante i costi del ticket giornaliero e l ’efficienza dei servizi pubblici.
Per questo penso che il cambio di passo in tema di mobilità sia davvero un tema urgente. E questo significa anche ripensare alle nostre abitudini di tutti i giorni.
Danda Santini
Cara redazione,
ho trovato Cirilla in una strada chiusa di Milano, dove numerosi gatti che non si lasciano avvicinare dimorano sotto le macchine parcheggiate, o nelle aiuole mal tenute. Le avevo portato una ciotola di latte, e subito dopo della carne. Sembrava troppo denutrita per riuscire a mangiare, e la portai con me.
Due o tre etti di gatto.
In pochi giorni era diventata la regina di casa, imparava dall’esperienza tutto quanto c’era da sapere. Curiosando sulla fiamma del gas le si erano bruciati i baffi, e da allora si guardava bene dai fornelli.
La prima volta in cui mi ero assentata per un giorno e mezzo - allora insegnavo alla Accademia di Belle Arti di Carrara e dovevo per forza lasciarla sola - al mio ritorno l’avevo incontrata immobile come una statuetta di porcellana, al centro del tavolo da lavoro, dove ogni foglio era stato fatto a pezzetti, le matite e i pennelli buttati a terra. Lo stesso impegno aveva messo nel passare la zampa sul ripiano del bagno, facendo cadere rossetti, matite, ciprie e creme.
Come poteva
Cirilla sapere che il suo era un dispetto? Nei viaggi successivi, nulla di ciò si era ripetuto: aveva acquisito il senso del tempo.
Ma l’episodio più straordinario della sua empatia è stato quando io al telefono, furiosa, piangevo, e urlavo, oggi non so più perché. Cirilla, vicina a me, aveva emesso le stesse mie grida, aprendo la bocca come probabilmente facevo io per piangere.
Fausta Squatriti
“Sappiate che i miei gesti erano e sono carezze per voi, insostituibili compagne, ora „ ombre presenti
Barbara Avanzini
Ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale/ e ora che non ci sei ho il vuoto ad ogni gradino./ (...) Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio/ ( .... ) perché sapevo che di noi due/ le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,/ erano le tue.
(Eugenio Montale)
Cara redazione
di io Donna, mi piace citare la meravigliosa poesia di Montale dedicata alla moglie per ricordare la nostra cara Lulù, piccola meticcia dalle zampe corte, compagna di molte vite, non solo della mia.
Cara Lulù, quanto ci manchi! I tuoi occhi offuscati salivano e scendevano le scale per fare rumore, per chiamarci, per dirci che tu c’eri, sempre al nostro fianco.
Cosa rende un umano più capace di un animale? Forse la tecnologia.
Se il digitale non ci ha aiutato a salvare la natura, cosa ci rende migliori? Nulla, nemmeno il linguaggio.
Allora, cara Lulù, e poi cara Mappy, gattina nera dal pelo lucidissimo, timida e audace allo stesso tempo, dai baci ruvidi e gentili, dalle fusa preziose e centellinate, dall’incedere felpato e silenzioso, ora la parola tace. Ma sappiate che i miei gesti erano e sono carezze per voi, insostituibili compagne, ora ombre presenti.
Barbara Avanzini
Care voi,
non ho mai avuto animali (vedi l ’asma di cui sopra), ma ho sempre ascoltato con piacere e un pizzico d ’ invidia i racconti traboccanti affetto di chi gode della loro compagnia. Come voi.
D. S.