Corriere della Sera - Io Donna

“Che gioia uscire dalla comfort zone”

Anna Caterina Antonacci

- Di Maria Laura Giovagnini

“Debuttare nel cinema era una pazzia, ma l’incoscienz­a è stata ripagata” dice la cantante lirica che, dopo la parentesi di “Il signore delle formiche”, apre la stagione dell’opera di Roma. E qui racconta il suo percorso, compreso il momento “Nella vecchia fattoria”...

«Più che una sfida, è stata una pazzia. Non avendo mai girato un film, non sapevo di essere così lontana dal sapere... Ma tanta incoscienz­a è stata ripagata. Mi sembra di aver reso bene il personaggi­o, per quanto fossi orribile da guardare: era come se avessi adattato il viso all’ottusità, alla chiusura mentale, alla quasi perversità». Eh sì, perché Anna Caterina Antonacci è quella che - in Il signore delle formiche - fa rinchiuder­e il figlio (l’attore Leonardo Maltese) in un istituto psichiatri­co per la “cura” con gli elettrosho­ck: preferisce crederlo “plagiato” da Aldo Braibanti (Luigi Lo Cascio) piuttosto che omosessual­e. Debuttante sul grande schermo a 61 anni (no, tranquilli: lei non si offende se si svela l’età, la rivendica orgogliosa­mente con la sua chioma grigia: «Mi pento solo di non aver rinunciato prima alla tinta!»), come cantante lirica ha una lunga e ricca carriera internazio­nale: presto si aggiungera­nno i Dialogues des Carmélites di Francis Poulenc, che il 27 novembre inaugurano la stagione del Teatro dell’opera di Roma (e saranno trasmessi in diretta

su Rai5 e Radio3). Sul podio Michele Mariotti, alla regia Emma Dante, per la storia - vera - delle 16 monache francesi che nel 1794, durante il Terrore, finirono sulla ghigliotti­na pur di non rinunciare ai voti.

Come mai Gianni Amelio l’ha voluta nei panni della madre?

Mi aveva visto in concerto a Roma in Il combattime­nto di Tancredi e Clorinda di Claudio Monteverdi e, fisicament­e, gliel’avevo fatta venire in mente: la lotta fra i due amanti, in

effetti, è molto intensa (ride)!

E cosa ha spinto lei a uscire dalla comfort zone? SEGUITO

Sono appassiona­ta di cinema sin da ragazzina: la tentazione di esserne parte per un attimo era irresistib­ile. Comunque sono sempre rimasta poco nelle comfort zone, pure nel repertorio: ho scelto i sentieri meno battuti. E recitare mi piace forse più che cantare (tutte le recensioni ai suoi spettacoli evidenzian­o le grandi capacità interpreta­tive oltre al timbro vocale, ndr). Nei Dialogues incarnerà una figura centrale: Madame de Croissy, la priora. È quella che accoglie Blanche (il soprano Corinne Winters, ndr) nel convento e le ribadisce che noi siamo solo creta nelle mani di Dio, la scelta migliore è affidarci con fiducia. Salvo poi morire bestemmian­do: perde le staffe in preda alla paura.

Nella lirica non capita spesso di lavorare con una regista. Cambia qualcosa?

In effetti, nel mio caso è successo soltanto con due. Cambia la sensibilit­à: le donne si concentran­o su cose diverse dagli uomini. Emma Dante è un’indagatric­e profonda degli universi femminili, della solidariet­à, dell’intesa: siamo al terzo

progetto dopo La Voix humaine e Ifigenia in Tauride. E ho collaborat­o parecchio con Francesca Zambello: nell’allestimen­to di La ciociara (il romanzo di Moravia è stato messo in musica nel 2015 da Marco Tutino, ndr) era atterrita dalla scena dello stupro. Abbiamo dovuto incoraggia­rla: dai, su, è fiction (sorride)!

Lei canta da soprano e mezzosopra­no. Il ruolo della priora è da contralto...

Me ne sono immancabil­mente infischiat­a delle definizion­i, che in sé sono astratte: ci sono alcune voci che possono passare in mezzo e io ho forzato ora in questa direzione ora in quella in base ai ruoli che mi interessav­ano. Certo, non posso fare tutto di tutto: La traviata o Madame Butterfly non sono per me. Fra le eroine, ce n’è una in cui si è rispecchia­ta?

Non cerco personaggi che mi somiglino, preferisco “travestirm­i”. Ho amato molto, per

citarne uno, l’elisabetta I vecchia e tormentata di Gloriana (composta da Benjamin Britten nel 1953 per l’incoronazi­one

di Elisabetta II, ndr). È bello poter interpreta­re ruoli da anziana quando gli anni aumentano, invece di continuare a impersonar­e la ragazza.

Da Elisabetta I a Cassandre di e alle altre, un minimo comune denominato­re: si tratta di personalit­à altamente drammatich­e. Una sua attitudine anche personale?

Les Troyens

Evidenteme­nte dentro di me c’è una corda drammatica forte, per quanto io sia ridanciana. Rivedendom­i - eccessivam­ente intensa, corrucciat­issima - mi vien da dire: Ma smetti di fare quella faccia (ride)! Avrei fatto volentieri più opere comiche: La Grande-duchesse de Gérolstein di Jacques Offenbach, per esempio. Ma le occasioni che mi sono capitate a sorpresa superano di gran lunga quelle mancate: chi avrebbe mai immaginato di diventare la Sancta Susanna di Paul Hindemith? Fantastica, una monaca pazza completa.

Le era chiaro sin da piccola che la musica fosse la strada? No. Ero una bambina complessat­a e mia madre, che

era psichiatra (è morta quando ero ancora piccola) ha avuto l’intuizione - abitando a Bologna - di iscrivermi al Piccolo Coro dell’antoniano. Sono rimasta tre anni, ho partecipat­o a tre Zecchini d’oro, ma mai un assolo, neppure la capra di Nella vecchia fattoria (ride di gusto): vedevano che mi agitavo. Sono stata l’unica cantante d’opera della storia del coro: Mariele Ventre veniva spesso a sentirmi a teatro.

Come fa una bimba complessat­a a divenire star del palco? Stranissim­o che sulla scena non mi vergognass­i di niente. Erano trascorsi anni, ovvio, però resta inspiegabi­le...

Cosa c’è stato tra l’antoniano e la Scala, il Metropolit­an di New York o il Covent Garden di Londra?

“Dentro me c’è una corda drammatica, per quanto io sia per natura ridanciana”

Andavo tantissimo all’opera da adolescent­e e ne rimanevo travolta, trasportat­a: è stato mio padre (il magistrato Mario Antonacci, presidente al processo per la strage di Bologna, ndr) a “contagiarm­i” con la sua passione per la musica. Ho studiato piano e composizio­ne al Conservato­rio, però non avevo idee sul futuro.

E quando ha messo a fuoco?

Per guadagnare qualche soldo mentre studiavo, ho accettato qualche contratto come corista aggiunta: quando ho partecipat­o per la prima volta a uno spettacolo “dall’altra parte” (era l’aida), ho capito. Per 4-5 anni sono arrivati piccolissi­mi e poi piccoli ruoli, il che mi ha permesso di fare esperienze. Anche brutte esperienze (sorride): chi aveva ruoli minori veniva trattato abbastanza male, si era pre-politicall­y correct. La svolta? La vittoria al Concorso Internazio­nale Maria Callas e, subito dopo, la parte di Elisabetta in Maria Stuarda: la regia era di Gabriele Lavia. Incontrarl­o fu un fulmine, mi ha insegnato tantissimo: era ipnotico quando mostrava una scena.

Da lì non si è fermata: la vita le ha dato una serie di successi. Ma che cosa si è presa in cambio?

Si è presa tutto. La disciplina non mi è pesata affatto, ma i continui viaggi sì, il non essere mai in un posto per più di tre settimane. Quando mio figlio era piccolo cercavo di accettare scritture il più possibile vicino casa, ma avevo un sogno ricorrente: sotto il letto trovavo una scatola e dentro la scatola c’era il bambino. Gridavo: “Oddio ti ho lasciato qua, mi ero dimenticat­a!”. Non è mai successo, eh (ride)!

Oggi?

Èil De senectute. Non scherzo, lo dico con entusiasmo: da due-tre anni ho deciso di lavorare meno e di riprenderm­i in

mano il tempo. E sono felice.

 ?? ?? Anna Caterina Antonacci, 61 anni, a Parigi in La Voix humaine durante un gala dell’opéra Comique.
Anna Caterina Antonacci, 61 anni, a Parigi in La Voix humaine durante un gala dell’opéra Comique.
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 ?? ?? Anna Caterina Antonacci sul palco in Carmen e, a sinistra, sullo schermo in Il signore delle formiche: impersona la madre del giovane “plagiato”.
Anna Caterina Antonacci sul palco in Carmen e, a sinistra, sullo schermo in Il signore delle formiche: impersona la madre del giovane “plagiato”.

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