Corriere della Sera - Io Donna
«Il clarinetto è una parte del mio corpo»
Zoe Pia
36 anni, di Oristano, vive in provincia di Rovigo. Clarinettista, compositrice, insegnante, nel 2018 dà vita al Pedras et Sonus Jazz Festival, di cui è project manager e direttrice artistica
«Per me e mio fratello, da
piccoli, la stanza dei giochi era quella degli strumenti
musicali: chitarre, batteria, tastiere... Il clarinetto l’ho trovato sotto l’albero di
Natale a otto anni. Ho iniziato a suonarlo nella
banda del paese, di cui faceva parte mio padre;
da lì il lungo percorso di studi, il Conservatorio a Cagliari, il perfezionamento musicale
su diversi fronti, dalla musica da camera alla composizione,
sino al jazz, che per me è un contenitore di diritti, di libertà. Racchiude tutto ciò
che è positivo, costruttivo e rispettoso, necessita di ascolto reciproco, abbraccia, non
denigra nulla. Lo vedo anche nel mio ruolo di professoressa: insegno in una scuola media a indirizzo musicale, e lo scorso anno ho lanciato un progetto,
il Little Jazz Festival, in cui i ragazzi, presi a organizzare
un festival in tutto e per tutto, hanno imparato a valorizzare se stessi insieme agli altri. stato anche una
sorta di esperimento sociale, che quest’anno replicheremo con delle novità, e la vitalità
mostrata mi ha rigenerato; loro, poi, sono stati così
felici che l’ultimo giorno mi hanno chiesto se mi potevano abbracciare. Per chi fa la mia
professione, l’attività didattica è importante: alla fine in
Italia quasi tutti insegnano, anche perché i tempi
dedicati alla produzione, alla creazione, non sono
retribuiti; è proprio palese la disparità tra la musica orchestrale, dove si percepisce
uno stipendio, e quella da camera o il jazz stesso. La docenza si accompagna alla fondamentale parte
prettamente dedicata all’aspetto musicale; per me il clarinetto è un po’ un prolungamento del mio corpo, se sto qualche giorno senza suonare ne risento a livello emotivo. Attraverso la musica mi piace trasmettere ciò che
sono - compresi i lati del mio carattere legati alla Sardegna
- e comunicare la libertà, che
a volte può essere cruenta, a volte dolce, melanconica; vi riecheggiano le mie esperienze, dalla musica da camera all’avanguardia, da Brahms alla dodecafonica. E amo attingere, per ispirarmi, al lato misterioso
ed energetico che i siti archeologici sardi racchiudono, agli strumenti come le launeddas, che reinterpreto in chiave personale, ai balli, in cui il suonatore più bravo
era colui che sapeva meglio improvvisare. Ecco l’essenza del jazz sardo. E quel che
spero di dare al pubblico quando sono sul palco è la
possibilità di staccarsi dalla realtà, in semi ipnosi».