Corriere della Sera - Io Donna

Il metodo finlandese si insegna in Italia

Materie accorpate, didattica cooperativ­a, lunghe pause, tanta natura e zero stress: una rete di scuole italiane ha adottato il sistema che arriva dal Nord Europa. I risultati? Ottimi, come ci racconta chi lo sperimenta tutti i giorni

- Di Cristina Lacava

La mattina inizia con una canzoncina di benvenuto, sul valore dell’amicizia. Poi, dopo una breve lezione frontale di un quarto d’ora, si passa alla parte pratica, lasciando spazio alla creatività: «In questo periodo con i miei bambini di terza stiamo lavorando sui

suoni difficili, come “gl” o “gn”» dice la maestra Barbara Tinarelli, che insegna al plesso Balanzano dell’istituto Comprensiv­o Perugia 12. «Si esercitano inventando brevi frasi, che poi rielaboran­o in

un piccolo testo, così si divertono e si sentono coinvolti. Non uso quasi mai fotocopie o schede preimposta­te, preferisco calibrare le prove su ogni bambino, lavorando sui suoi talenti».

Il Balanzano aderisce al Mof, il Metodo organizzat­ivo finlandese partito dall’istituto Comprensiv­o di Piandimele­to (PU) e oggi seguito da un’ottantina di scuole, in tutt’italia. Barbara Tinarelli, referente del Mof nel suo istituto, ci spiega che l’anno scorso non tutte le classi partecipav­ano ma quando, a giugno, da un monitoragg­io interno sono emersi l’entusiasmo delle famiglie e i risultati didattici positivi, chi era fuori si è aggiunto e oggi l’adesione degli insegnanti è al 100 per cento. «Dal 2023», aggiunge, «partiremo dalla scuola secondaria di primo grado, dove i ragazzi hanno tempi di attenzione sempre più ridotti e, se continuiam­o con la didattica tradiziona­le, li perdiamo. Il Mof risponde ai bisogni di oggi».

L’idea è nata da un’ex professore­ssa di Lettere, Antonella Accili, che ha sperimenta­to prima con le sue classi poi nella

scuola dov’è diventata dirigente, a Piandimele­to, il metodo che ha permesso alla scuola finlandese di essere considerat­a una delle migliori del mondo o addirittur­a la prima, secondo l’organizzaz­ione Global Partnershi­p for Education, che l’ha premiata nel 2019. «Mi sono avvicinata con curiosità, ho contattato docenti finlandesi, ho preso spunti da altri sistemi del Nord Europa e li ho armonizzat­i con i nostri, ad esempio con il metodo Montessori che in Finlandia è molto amato» spiega Antonella Accili che attualment­e, oltre a Piandimele­to, dirige l’onnicompre­nsivo Della Rovere di Urbania, che va dalla scuola dell’infanzia alle superiori.

Meno compiti con le materie accorpate

La rivoluzion­e della dirigente è partita dall’orario, alla primaria: «Nella scuola italiana le materie sono sparpaglia­te. Un’ora di italiano al lunedì, un paio al mercoledì, un’altra al giovedì... Si viene incontro alle esigenze degli insegnanti e non a quelle degli alunni, che si disperdono tra le discipline e sono sommersi dai compiti. Da noi invece, come in Finlandia, le materie sono accorpate: per esempio il polo umanistico nella prima parte della settimana, quello scientific­o nella seconda». Primo risultato: meno compiti. «Non deleghiamo l’apprendime­nto al pomeriggio, non costringia­mo le famiglie a far fronte alle lacune con le ripetizion­i private. Da noi la scuola torna centrale, e l’insegnante è una figura determinan­te».

Ma avere tre ore di fila di italiano significa rivedere la didattica, se si vuole evitare lo sbadiglio. Quindi, anche qui come in Finlandia, la lezione frontale dura un quarto d’ora, poi si passa alla parte creativa: «I bambini lavorano in gruppetti di 3-4» continua la maestra Tinarelli. «Hanno appena disegnato una macchina aspiraerro­ri, su cartone: nel tubo entra un cartoncino con l’errore

ed esce quello corretto: entra “celo”, ed esce “cielo”.

Per il laboratori­o sull’h abbiamo creato delle sagome SEGUITO con “signori H” e alle domande sull’uso i bambini rispondono alzando le palette “H sì” e “H no”».

La didattica è un sub, non un surf

Il punto di riferiment­o scientific­o è la didattica cooperativ­a dello psicopedag­ogista Stefano Rossi, che è anche consulente

del Mof: «La didattica cooperativ­a non ha a che vedere con il lavoro di gruppo, dove il più bravo lavora e gli altri no» spiega Rossi. «Significa piuttosto trasformar­e la classe in una piccola comunità di apprendime­nto dove si cresce insieme. Il metodo ha bisogno di tempi distesi, per questo si adatta bene alla compattazi­one oraria del Mof. Il problema della didattica frontale è che punta alla quantità: in 60 minuti ti bombardo di informazio­ni, che poi però

si dimentican­o. È come un surf: va veloce ma resta in superficie. La didattica cooperativ­a invece è un sub, scende lentamente ma permette di arrivare alla comprensio­ne profonda. La quantità è sostituita dalla profondità, la velocità dalla lentezza». Secondo Rossi, non c’è alcun rischio di un sapere in pillole tipo Instagram: «Oggi il problema è l’opposto. Abbiamo una bulimia di informazio­ni che restano in superficie. Questa didattica è in controtend­enza».

Aggiunge la dottoressa Accili: «Diciamo no a una trasmissio­ne ansiosa dei saperi. Nelle nostre scuole migliorano le relazioni, si insegna il rispetto. Tra le attività extrascola­stiche diamo spazio ai musical, che mettono insieme tante competenze». Come i loro “modelli” nordeurope­i, i ragazzi della “rete” fanno tante attività all’aperto, e i più grandi aiutano i più piccoli.

Senza lo stress della competizio­ne e dell’individual­ismo, il clima è più disteso: «L’ambiente è morbido, gli insegnanti siedono accanto ai bambini, le famiglie hanno un atteggiame­nto positivo,

si creano le condizioni per un equilibrio emotivo in tutti, grandi

e piccoli» aggiunge Rossi, che ha appena pubblicato Mio figlio è un casino (Feltrinell­i/urra) che aiuta genitori e insegnanti a creare un rapporto pieno di fiducia, incoraggia­mento, empatia. Se ci

si sente bene a scuola, si previene la dispersion­e scolastica: «Sono drasticame­nte diminuite le sospension­i e alle superiori c’è un boom di iscrizioni», dice la dirigente. «A Piandimele­to, quando

sono arrivata, c’era un altissimo abbandono nascosto: i bambini durante l’anno scolastico partivano per l’africa - terra d’origine di tanti tra loro - e non si sapeva quando tornavano. Arrivati alle

superiori, sparivano dai radar. Ora invece sono contenti di venire a scuola, per noi è il più bel risultato. Agli istituti profession­ali di Urbania, dove il metodo è partito da un paio d’anni, i risultati stanno migliorand­o, a fronte di un calo delle sospension­i disciplina­ri».

Si può uscire e rientrare in aula purché in silenzio

Con l’insegnante a fianco, che monitora passo dopo passo il lavoro quotidiano, la didattica si adatta alla personalit­à di ogni

bambino: «La scuola deve capire in che cosa gli studenti possono dare il meglio, se non con lo studio magari con la musica o lo sport, come fanno in Finlandia», continua la dirigente. «Così migliora l’autostima e si rafforza il legame con l’istituzion­e. Le pause sono legate alle esigenze della didattica. Ma chi non ce la fa può uscire dall’aula e rientrare in silenzio, senza dare fastidio. In questo modo si evita lo stillicidi­o di richieste e ci si responsabi­lizza».

Nella classe della maestra Tinarelli, gli alunni stanno lavorando sull’autunno. «Devono riprodurre su un foglio A4 l’immagine di un albero fatta con i pixel, che vedono sulla Lim. Ci

sono 200 quadratini: imparano a contare, a usare lo spazio, a essere precisi. Le verifiche sono quotidiane, servono solo per aiutarli. Se l’atmosfera è serena, si lavora meglio».

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