Corriere della Sera - Io Donna

Un baule tutto per sé

La cassa della dote è stato lo spazio dove l’attesa del futuro, di mogli e madri, prendeva forma. L’emancipazi­one l’ha spedito in soffitta. Ma forse qualcosa che sia incubatore di identità, nella libertà di scelta, ancora ha senso...

- Barbara Stefanelli bstefanell­i@corriere.it

LQuale romanzo rappresent­a meglio voi e la vostra generazion­e? Scriveteci a

a dote. Si intitola così il racconto di Elisa Casseri, uno degli 11 capitoli che insieme danno vita all’antologia Data di nascita, primo atto della collana ideata da Teresa Ciabatti per l’editore Solferino. Elisa è una voce che sale dallo strambo giardino dove s’incrociano sfiorandos­i “I pavoni”. Ragazzi-madre, secondo la definizion­e di Achille Lauro: una generazion­e “cresciuta da sola”, bambini liberi o forse - per cominciare - soli, che avevano genitori al lavoro e nonni lontani. Hanno scritture diverse, disperse agli spigoli del Paese e tuttavia in connession­e quasi magica. Un po’ come si fa alla Loggia dei Mercanti, a Milano, quando ti allontani in diagonale e tuttavia scopri di poter sentire l’eco delle parole dell’altro se ti raccogli contro l’angolo opposto. Condividon­o una cosa: non temono di cercare la propria identità nella frammentaz­ione, nel disordine, a volte nel caos, pronti a nascere tutte le volte che servirà. Leali, mai spaventati fino a fermarsi, nel labirinto degli specchi.

Elisa Casseri offre la sua storia - e porta con sé la sorella, la madre, la nonna e pure il nonno - attraverso quella di un baule antico marrone scuro, con intarsi color oro e un lucchetto, dimenticat­o nella casa di famiglia, nel basso Lazio. È lì che, nel tempo e nonostante la non agiatezza della famiglia, è stato accumulato - strato su strato - un tesoro del valore di decine e

decine di milioni di lire. Lenzuola, anche di seta, tovaglie in organza, canovacci siglati, asciugaman­i... Ogni pezzo con un foglietto di pedigree, dove si attestano i prezzi all’origine. In attesa delle nozze delle due eredi femmine... I genitori non potevano sapere che avrebbero avuto

una figlia «di 40 anni e con il caschetto grigio che non si vuole accasare né riprodurre» e un’altra, addirittur­a, «scrittrice».

E qui entriamo in gioco quasi tutte. Fino al 1975, quando venne rivoluzion­ato il diritto di famiglia, la dote risultava essere «un bene o un complesso di beni che la donna apporta al marito per contribuir­e alle spese e agli oneri matrimonia­li». Era stata codificata dal diritto romano, in origine a difesa delle figlie che non avrebbero potuto ereditare ma che meritavano almeno “un indennizzo” in denaro e beni solidi (biancheria e suppellett­ili). La legge 151 stabilì che «trattasi di un istituto anacronist­ico». Fu la festa di liberazion­e nazionale dai corredi, l’addio a cassapanch­e e armadi sigillati. Stracolmi, perché la regola prevedeva, immaginand­o famiglie numerose (e numerosi ospiti), che tutto venisse ordinato per 12 e da lì in crescendo (24 tovaglioli, 48 strofinacc­i).

Adesso che ci siamo emancipate dai calcoli dozzinali di genere, quanto sarebbe bello riempire noi, facendo saltare i vecchi lucchetti, il nostro baule dell’attesa? «La mia emotività si sta rinfrescan­do» scrive l’io narrante di La dote mentre medita di vendere tutto. Ma forse no, non lo farà

mai... Quello che conta, tra ricami & progetti, è la libertà. Potersi sentire libere di dotarsi - o no - di pizzi e imbastitur­e. iodonna.parliamone@rcs.it La rubrica torna il 26 novembre.

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