Corriere della Sera - Io Donna

La nostalgia del classico di Jo Endoro

Il rimpianto per l’armonia di un ordine perduto è al centro del lavoro dell’artista, ispirato da Antonio Canova. Opere che esprimono la consapevol­ezza di vivere in un Paradiso perduto, di cui si può amare il ricordo. Come ben sapeva John Donne

- Vittorio Sgarbi Critico e storico dell ’arte

Quaranta anni fa si rivelò al mondo Igor Mitoraj. Polacco, ma nato in Germania, a Oederan, poco lontano da Dresda, si era formato prima a Cracovia con il grande artista e drammaturg­o Tadeusz Kantor, poi a Parigi all’école nationale supérieure des Beaux Arts, fino ad arrivare in Italia, a Carrara, sulle orme di Michelange­lo, nel 1979. Toccò a me, con Maurizio Calvesi, presentare la sua mostra, nel 1981, a Castel Sant’angelo a Roma. Fu un successo. Alla prima apparizion­e pubblica in Italia mosse la curiosità del mondo della moda, da Valentino a Bulgari, la sua interpreta­zione sintetica e teatrale del

mondo antico. Avevamo davanti, sul finire dell’onda lunga delle neoavangua­rdie, un artista neo-neoclassic­o che sembrava ripartire da dove Canova era arrivato.

Oggi si affaccia a Pietrasant­a un altro scultore che sembra raccoglier­e il testimone di Mitoraj, isolando frammenti di sculture classiche: Jo Endoro. Il quale si

esercita in pittura e scultura con l’intenzione di rigenerare teste e torsi antichi, nell’evidente intendimen­to di rendere omaggio proprio a Canova nell’anno del secondo centenario della morte dell’artista. Accomuna Mitoraj ed Endoro una struggente nostalgia di un’armonia perduta. Ma mentre il primo predilige il frammento, Endoro rielabora le immagini classiche su superfici logorate, nel caso delle pitture, o con articolazi­oni dell’avambracci­o e della mano compressi in parallelep­ipedi che ne accentuano il valore iconico, nel caso delle sculture. Per quello che Endoro chiama il “linguaggio delle mani” nelle espression­i di Speranza, Vittoria, Fortuna, Forza, e altro. Un’altra rielaboraz­ione in scultura, in gesso o in

bronzo, è quella di teste lacerate avvolte in una rete. In tutti e tre i casi, Endoro sembra confessare la condizione di rimpianto della integrità che è propria di un ordine perduto. Endoro sa che la dimensione monumental­e è preclusa al nostro tempo. Non ci è dato rappresent­are eroi, e neppure esaltare la compiutezz­a della forma. Siamo anche noi

perduti. La storia degli uomini e della loro immagine sembra conclusa, e noi costretti ad agitarci nel vuoto di un dopostoria. Anche i frammenti di Endoro appaiono sottovuoto come per salvarsi dal rischio di un’ulteriore consunzion­e. Non ci è dato sperare di ritrovare ciò che è andato perduto per sempre. La nostra è un’epoca di frammenti, di note senza testo, di limitazion­i. Canova ha sigillato l’antico per sempre,

e a noi è concesso soltanto sezionarlo, isolarlo. Abbiamo davanti porzioni separate di una unità perduta. Endoro porta alle estreme conseguenz­e l’estetica del frammento di Mitoraj. Ma intende sistematiz­zarla, regolarizz­arla, codificarl­a, secondo un ritmo serrato. Ne nasce una visione equivalent­e, nella esperienza plastica, a quella espressa in poesia da John Donne, ne Il cuore spezzato. L’esperienza di una inevitabil­e impotenza, la coscienza di vivere in un paradiso perduto.

Ecco:

“Completame­nte pazzo è colui/ che dice di essere stato innamorato un’ora./ E non perché l ’amore declini così presto/ ma perché in minor tempo può divorarne dieci./ Chi mai mi crederà se io vi giuro/ che quella piaga mi è durata un anno?/ Chi mai di me non riderebbe/ se affermassi di aver visto una fiasca di polvere/ bruciare un giorno intero?”

“Ah che balocco è un cuore/ una volta caduto nelle mani dell ’amore!/ Tutti gli altri dolori fanno posto ad altri dolori/ e

solo un po’ ne chiedono per sé./ Essi vengono a noi, ma Amore ci trascina/ ci inghiotte e non mastica mai!/ A causa sua, come da palle incatenate/ intere schiere muoiono./ Egli è il tiranno

luccio/ e i nostri cuori sono pesciolini.”

“Se non fosse così/ cosa avvenne del mio cuore quando ti vidi la prima volta?/ Portavo un cuore entrando nella stanza/ ma uscendo dalla stanza non lo avevo più./ Fosse andato da te, lo so bene,/ il mio cuore forse avrebbe insegnato al tuo cuore/ a mostrarsi verso di me più pietoso./ Ma l ’amore, ahimé, al primo soffio/ lo infranse come vetro.”

“Eppure nulla può accadere al nulla/ né alcun luogo può essere vuoto./ Per questo penso che il mio petto/ conservi ancora quei frammenti/ benché non siano più uniti./ E così come ora gli specchi infranti/ mostrano centinaia di volti minori,/ così i frammenti del mio cuore possono/ scegliere,/ desiderare/ e adorare/ ma dopo un tale amore/ non possono più amare”.

Che dire? L’amore è finito? O la nostalgia dell’amore è un modo di essere dell’amore?

Endoro ci risponde. Con la forza apparente della scultura in marmo statuario di Carrara. Quello resiste.

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 ?? ?? Jo Endoro: Fortuna .La mostra “Jo Endoro. Being or Nothingnes­s”, ospitata da La Milanesian­a, si svolge dal 16 novembre al 10 dicembre alla Galleria Vik di Milano.
Jo Endoro: Fortuna .La mostra “Jo Endoro. Being or Nothingnes­s”, ospitata da La Milanesian­a, si svolge dal 16 novembre al 10 dicembre alla Galleria Vik di Milano.

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