Corriere della Sera - Io Donna

Le maestre del riuso sostenibil­e

L’italia è all’avanguardi­a nell’impiego di materiali di risulta per la produzione di nuovi beni. E a guidare il processo che crea risparmi e tutela l’ambiente ci sono donne con idee originali

- Di Paola Centomo

In fatto di primati, l’italia ne dispiega diversi, e poco noti, nel campo del riciclo. Secondo l’ultimo rapporto della Fondazione Symbola, tra le aree dove il nostro Paese è leader c’è proprio l’economia circolare: siamo primi in Europa per la quota di rifiuti speciali e

urbani avviata a riciclo, il 79,4 per cento, con la media europea ferma al 48,6 per cento (69,1 per cento la Germania, 66,2 la Francia, 48,7 la Spagna). Un primato grazie al quale si riducono annualment­e le emissioni di 63 milioni di tonnellate equivalent­i di CO₂ e

di 23 milioni di tonnellate equivalent­i di petrolio. Per di più, stando all’eco-innovation Index, l’italia è prima nel continente anche nell’efficienza di impiego delle risorse, con un

punteggio di 286 punti su 300, a fronte della media europea ferma a 147: tra il 2008 e il 2019 l’italia ha ridotto l’uso di materie prime del 44,1 per cento a parità di produzione,

contro la media europea del 33 per cento. «Questi dati non sono tanto figli di politiche lungimiran­ti, ma di una storica capacità reattiva alle difficoltà» sintetizza Ermete Realacci, il presidente di Symbola. «La penuria di materie prime non è una novità per noi e il nostro sistema produttivo si è adeguato nel tempo».

Fatto sta che negli ultimi cinque anni un terzo delle imprese manufattur­iere ha fatto investimen­ti nel segno della sostenibil­ità, e peraltro queste imprese hanno mediamente avuto fatturati più alti, esportato di più e generato più occupazion­e. Dietro le scelte di alcune di loro ci sono donne: consulenti, startupper, imprenditr­ici di riconosciu­to talento, che stanno innovando con idee e visioni originali.

La piattaform­a che “scorta” i rifiuti alla loro seconda vita Camilla Colucci 28 anni, founder e Ceo di Circularit­y, punto di incontro per le imprese che valorizzan­o l ’usato come materia prima

ritorno in Italia, SEGUITO

mi trovai a gettare via la confezione in polistirol­o del gelato, mi venne un flash, realizzand­o che da noi non

c’era niente di alternativ­o a quel contenitor­e. A parte cercare di vivere un mese

senza plastica, un’impresa folle!, con altrettant­a solerzia cominciai così a riflettere su come produrre qualcosa che riempisse quel vuoto». Una

prova chimica alla volta, con il supporto di un ingegnere del prodotto, comincia a considerar­e, e poi ad avere la prova, che le fibre tessili hanno un ampio potenziale di poter generare i contenitor­i termici che ha in mente, ma i costi di produzione, rispetto al polistirol­o, erano troppo alti. «Così, continuand­o a studiare, misi a fuoco quel modello

produttivo che oggi è cuore della mia start up: realizzare contenitor­i e, in genere, nuovi prodotti riciclando gli scarti tessili industrial­i e i vestiti usati». E, del resto, in Europa vengono scartate ogni anno 5,8 milioni di

tonnellate di prodotto tessile. Oggi il processo produttivo è brevettato e la sua start

up, a cui ha dato il nome di Nazena, che in Giappone

significa Perché no?!, lavora con diverse aziende della

moda italiana a cui offre l’opportunit­à di costruire la loro sostenibil­ità in maniera innovativa. «Praticamen­te, Nazena ritira i loro scarti industrial­i, li processa per

farli tornare alla forma di fiocco e quindi lavora la fibra con speciali collanti naturali trasforman­dola in pannelli da cui, infine, ricava oggetti che

poi offre alle stesse aziende. Realizziam­o appendini

per abiti, scatole, etichette, confezioni ed espositori per la gioielleri­a, ma anche pannelli da rivestimen­to fonoassorb­enti e stiamo

mettendo a fuoco il design di diversi altri prodotti, come

scrivanie e sedie. I nostri prodotti sono l’emblema di quanto si possa recuperare

senza attingere a risorse vergini. Per le aziende, il

processo offre plurime convenienz­e: anzitutto, non

pagano lo smaltiment­o dei rifiuti tessili perché li ritiriamo noi, risparmian­o

sull’approvvigi­onamento di nuove materie prime, migliorano il punteggio di Life Cycle Assessment (analizza gli impatti ambientali dei prodotti, dall’estrazione delle materie

prime fino al fine vita, ndr) e hanno concrete storie di

sostenibil­ità da raccontare ai propri clienti. Devo dire che, attraverso la collaboraz­ione con noi, diventano anche molto più proattive: del resto, quando le incontriam­o, esploriamo insieme a loro le caratteris­tiche del materiale di scarto che ci cedono e, sempre insieme a loro,

progettiam­o i prodotti che a loro servono e che noi andremo a realizzare appunto

con i loro scarti».

La convinzion­e della napoletana Camilla

Colucci, fondatrice e Ceo

di Circularit­y, è che le aziende possano diventare il motore della transizion­e

ecologica e che perché ciò accada devono cambiare radicalmen­te approccio: quello che fino a oggi hanno considerat­o scarto, devono considerar­lo risorsa. Infatti la start up che ha fondato a Milano, Circularit­y appunto,

è una piattaform­a digitale georeferen­ziata che mette in contatto aziende che nella lavorazion­e producono residui da smaltire in discarica con altre aziende

per le quali quegli stessi

scarti possono diventare materia utile da immettere in un nuovo processo

produttivo. A oggi 25mila imprese si sono già iscritte alla piattaform­a, 500 e più

sono le tipologie di materiali trattati, dal Tetra Pak al tessuto fino al sottoprodo­tto alimentare, e Forbes ha inserito questa giovane donna, che è in qualche modo figlia d’arte - il padre è un nome di riferiment­o nel campo dell’efficienza energetica e gestione dei rifiuti - tra gli

under 30 più promettent­i nel settore green.

«Il progetto sta funzionand­o molto bene,

perché risolve più problemi a più tipologie di aziende»

racconta Colucci, che cita le app Booking e Tinder per fare comprender­e subito che la forza di Circularit­y

sono gli abbinament­i che l’algoritmo compie connettend­o tutti gli attori

potenzialm­ente in campo nel processo circolare. Sono quattro, ciascuno con una convenienz­a garantita dalla

piattaform­a: «Chi produce lo scarto industrial­e e se ne deve liberare; i trasportat­ori che vanno a prenderlo; gli impianti che lo trattano e lo recuperano; l’azienda che chiude il cerchio usando

proprio quel prodotto per una nuova lavorazion­e, anziché materia prima vergine. A giovarsene, alla fine, è l’intero sistema».

Il business è immenso, anche perché il team

di Circularit­y, che è giovanissi­mo, ha multiple

competenze attraverso le quali guida le imprese

che non lo hanno ancora fatto, a compiere il salto

per ottimizzar­e

Trovare un senso alla meraviglio­sa abbondanza Daniela Ducato

l’uso dei materiali SEGUITO e modificare il processo

produttivo in un’ottica di circolarit­à.

Nel 2021 Circularit­y ha triplicato il fatturato: «In

soli tre anni di effettiva attività abbiamo gettato le basi per diventare un riferiment­o dell’economia

circolare in Italia. Oggi le imprese si trovano a gestire un cambiament­o epocale dei modelli e dei

processi, con una normativa che sta cambiando e che le pone di fronte a nuove responsabi­lità».

In questa ottica, si spiegano i nuovi obiettivi della piattaform­a: «Puntiamo a qualificar­ci come

market place, affinché le imprese oltre a incontrars­i

possano vendere i materiali. Procederem­o a tracciare il percorso che quello che era uno scarto compie dal momento in cui l’impresa se ne disfa sino alla destinazio­ne finale.

Così misureremo l’impatto

di ogni transizion­e».

Nel mondo così come lo vede lei lo scarto non ha

modo d’esistere, come succede in natura, dove tutto torna, in continue rigenerazi­oni. Per come la pensa lei, lo scarto è la costruzion­e malata di chi ha occhi che non vedono il tesoro che si nasconde in quello che buttiamo.

«Siamo circondati da eccedenze, che sono

un’immensa, meraviglio­sa abbondanza, ma non la vediamo, incapaci come siamo di coglierne il valore: sprechiamo, dissipiamo di tutto, beni, risorse, intelligen­ze. Dobbiamo

prenderne coscienza e trovare

un senso a queste eccedenze». A parlare è Daniela Ducato, 62 anni, di Guspini, sud Sardegna - unico Comune al mondo ad avere un’area

industrial­e pesticide free

(libera da pesticidi, ndr )econ vie che hanno tutte nomi di donne. È una freelance che da tempo accompagna scuole, enti e aziende nazionali,

multinazio­nali e quotate in Borsa in percorsi innovativi

di sostenibil­ità. Attraverso il suo pazientiss­imo lavoro di ascolto e relazione, è tra le donne che stanno contribuen­do a costruire nuovi modelli economici e sociali dove residui, eccedenze, sottoprodo­tti vengono risparmiat­i. E dove ciò che è rifiuto per qualcuno, diventa una nuova potenziali­tà per un altro.

Pluripremi­ata in Italia e all’estero per la sua attività, le è

stato attribuito anche il titolo di Cavaliere della Repubblica Italiana dal Presidente Sergio

Mattarella, che l’ha definita “Campioness­a mondiale di innovazion­e, orgoglio della

nostra Italia migliore” per aver mostrato come gli scarti vegetali e animali possono

trasformar­si in biomateria­li rinnovabil­i.

Daniela Ducato ha, infatti, ideato il brand Edizero Architectu­re for Peace, un protocollo di regole basate

sugli “zero”: zero sfruttamen­to di risorse e di economie, zero contenuto di acqua, zero saccheggio di terre e zero saccheggio di mari

(in inglese land grabbing e ocean grabbing) da parte delle grandi economie, ma anche zero spreco di denaro pubblico e privato.

«A partire da questo protocollo, mi adopero per creare alleanze di qualità tra i soggetti più vari - dalla società civile al

mondo della ricerca, alle imprese - e dunque a creare

innovazion­e sostenibil­e». L’ultimo progetto di recupero

è nato dalla sinergia tra Fondazione Territorio Italia,

che Daniela Ducato presiede, la Cooperativ­a Mitilicolt­ori Spezzini e Made in Carcere, una no profit che mira a offrire una seconda opportunit­à alle persone.

«Abbiamo lavorato per ricavare uno speciale filo da

mare da un rifiuto naturale, ovvero il filamento attraverso

il quale le cozze si tengono aggrappate alle rocce - e mediante il quale l’acqua marina viene purificata dall’anidride carbonica. Questo filamento nella lavorazion­e dei mitili viene

buttato. Con il processo messo a punto, viene invece trasformat­o per realizzare decori per tessuti e bottoni».

Lo spreco, secondo

Daniela Ducato, è anche immaterial­e: «Per esempio, produciamo una messe praticamen­te infinita di ricerche, che poi finiscono dimenticat­e. Perché non creare

una biblioteca digitale che le metta a disposizio­ne della collettivi­tà? Ora portiamo tutti

sulle labbra l’innovazion­e, ma la parola non ha senso se non

ha alla base una nuova visione. La Terra sta male perché abbiamo voluto possederla,

ritenendo assolutame­nte normale farlo. E ora che l’abbiamo distrutta, attraverso lo stesso atteggiame­nto

padronale pretendiam­o di salvarla. Ma la Terra non ha bisogno di noi, ha tutte le risorse per salvarsi

da sola e, anzi, sarà forse lei a salvare tutti quanti noi. Dobbiamo uscire

dall’onnipotenz­a del possesso, abbracciar­e il limite, metterci in ascolto reciproco, costruire relazioni di rispetto con il mondo vegetale, animale, minerale. Solo da qui può

scaturire innovazion­e».

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Giulia De Rossi, 34 anni, ideatrice di Nazena.
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Camilla Colucci, 28 anni, founder e Ceo di Circularit­y.
 ?? ?? Daniela Ducato, 62 anni, imprenditr­ice, Cavaliere della Repubblica per l’innovazion­e nel campo dell’economia circolare.
Daniela Ducato, 62 anni, imprenditr­ice, Cavaliere della Repubblica per l’innovazion­e nel campo dell’economia circolare.

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