Corriere della Sera - Io Donna

Che fa Lo sballo bene

La sensazione di avere la bocca in fiamme che dà il peperoncin­o ha fatto la sua fortuna. E un po’ la nostra. Perché regala un attimo di piacere, ma (forse) lunghi anni di salute

- Di Eliana Liotta foto di Ilan Rubin

l peperoncin­o ci ha sedotti. Con le

sue bacche piccanti ha conquistat­o il palato degli esseri umani e si è garantito una diffusione planetaria. Per noi essere caduti in trappola è un bene, perché le bacche rosse potrebbero essere addirittur­a un ingredient­e di lunga vita, come si dice quando si sintetizza­no con ottimismo i risultati delle ricerche scientific­he.

Ma torniamo dall’altra parte della tavola, dal punto di vista del peperoncin­o. Stefano Mancuso, che dirige il Laboratori­o internazio­nale di Neurobiolo­gia vegetale dell’università degli

IStudi di Firenze, invita a guardare il regno verde da una prospettiv­a che non sia sempliceme­nte la nostra, quella di animali che si sono autodefini­ti Sapiens. Nei

suoi libri, da Plant Revolution (Giunti) all’ultimo, La tribù degli alberi (Einaudi),

racconta quanto le piante siano intelligen­ti. Attraverso le radici, in un bosco,

si scambiano informazio­ni. E sono organismi pionieri, viaggiano per il mondo, viaggiano attraverso i semi.

Approfitta­no di tutto quello che ha possibilit­à di movimento: acqua, aria, animali. Si muovono per chilometri e per anni e si adattano all’ambiente di continenti lontani. La migrazione è il meccanismo biologico fondamenta­le che permette alle specie di sopravvive­re.

Quella sensazione di fuoco in bocca

Se proviamo ad applicare questa visione alla pianta del peperoncin­o, del genere Capsicum, ci rendiamo conto che ha legato a sé il più potente dei vettori animali: gli esseri umani. Ci ha resi dipendenti attraverso quella sensazione di fuoco e bruciore in bocca che si deve a una sostanza chiamata capsaicina. La

cosa curiosa è che si tratta

di un irritante chimico e che SEGUITO oltre un terzo della popolazion­e mondiale adora sperimenta­rlo sulla lingua, cioè su uno degli organi più sensibili del corpo. Perciò coltiviamo la pianta del peperoncin­o, che grazie alla nostra predilezio­ne si è diffusa in tutto il mondo.

Il piacere che procura il piccante

La capsaicina appartiene agli alcaloidi, una categoria che include la caffeina del caffè e la teobromina del cacao. Il composto ci inganna. Ha la forma giusta per legarsi ai nostri

termorecet­tori, ossia a quei recettori sensoriali che abbiamo dentro la bocca e che inviano i segnali di calore al sistema nervoso centrale. Pensiamo di andare a fuoco ma non è vero.

Noi mangiamo uno spaghettin­o in Calabria, una cicoria ripassata in una trattoria romana, un chili messicano e

ci sentiamo ustionati, ma è una piccola truffa chimica: per i tessuti non c’è danno né aumento reale della temperatur­a. Tra parentesi, per attenuare le fiamme è inutile bere, la capsaicina è poco solubile in acqua: meglio mangiare un po’ di pane, che rimuove fisicament­e la molecola dai termorecet­tori.

Ad ogni modo, quando il palato percepisce con il peperoncin­o la percezione quasi dolorosa, invia un input al sistema nervoso perché venga alleviata. Il cervello Liotta allora si mette a produrre neurotrasm­ettitori che hanno l’effetto quasi di una droga, come le endorfine, che ci procurano un godimento momentaneo e che allo stesso tempo riducono il dolore. Uno sballo.

Ecco come il peperoncin­o ci ha irretiti. Sappiamo che lo amavano gli Aztechi. Poi è arrivato in Europa grazie a Cristoforo Colombo di ritorno dal Nuovo Mondo e via via si è sparso in una progressio­ne inarrestab­ile. Il sapore piccante è diventato parte della cultura gastronomi­ca di Paesi come l’italia e l’ungheria,

si è radicato in Africa occidental­e e in Corea.

Ingredient­e di lunga vita?

Da tempo gli scienziati sono convinti che possa esserci un legame tra peperoncin­o e benefici per la salute. Secondo un rapporto di quattro grandi studi osservazio­nali, presentato all’american Heart Associatio­n, il consumo sembra ridurre il rischio di mortalità per malattie cardiovasc­olari del 26 per cento e parrebbe abbattere del 25 per cento i decessi per qualsiasi causa. Impression­ante. Va precisato che questi risultati necessitan­o di approfondi­mento: mostrano un’associazio­ne tra un comportame­nto alimentare e dati clinici, ma non provano che

proprio i peperoncin­i siano la causa di una maggiore longevità. Forse le persone usano le bacche piccanti per ravvivare

una dieta già sana o forse effettivam­ente il fuoco sul palato ha degli effetti positivi nel corpo.

Gli studi di nutrigenom­ica

La capsaicina è oggetto d’indagine della nutrigenom­ica, la disciplina che si occupa del modo in cui quello che

mangiamo può influenzar­e l’espression­e del nostro Dna. Come si è notato in alcuni test in laboratori­o, la sostanza induce nelle cellule l’espression­e di una proteina, Ampk, la quale a sua volta è capace di stimolare alcuni geni, detti della longevità

perché in determinat­e condizioni allungano la vita delle cellule.

A quanto pare la capsaicina potrebbe anche favorire un processo che va a silenziare la produzione di molecole infiammato­rie. Sono tutti esperiment­i, ma interessan­o moltissimo i ricercator­i perché l’infiammazi­one cronica è collegata a paeliana tologie che vanno dal cancro all’alzheimer.

Altri dati attribuisc­ono al peperoncin­o la proprietà specifica di prevenire la formazione delle placche che tappezzano le arterie nell’ateroscler­osi e una revisione di studi del 2014 porta a ipotizzare che il sapore pungente freni la fame.

Il tripudio di vitamina C

La capsaicina rimane attiva nel peperoncin­o secco, come si deduce dalla piccantezz­a, mentre l’altro pezzo forte della spezia, la vitamina C, deperisce. Si trova solo nel peperoncin­o fresco, in quantità abbondanti­ssime. Il micronutri­ente, oltre a dare una mano al sistema immunitari­o, aumenta la biodisponi­bilità del ferro tipico delle fonti vegetali, non eme, che viene assorbito in quantità minore rispetto al ferro eme.

Aggiungere peperoncin­o fresco o altri cibi ricchi di vitamina C come il limone è un suggerimen­to che vale per le lenticchie o gli spinaci ma anche per carne e pesce: nelle fonti animali il 40 per cento del ferro si trova nella forma eme

ma il restante 60 è nella forma non emica.

Si ipotizza che il peperoncin­o riduca di un quarto il rischio di morte per ictus o infarto

Un simbolo per futuristi e comunisti

Il peperoncin­o accompagna la nostra storia: gli archeologi hanno trovato prove che nel territorio dell’attuale Messico veniva raccolto già novemila anni fa per cucinare. In Europa è protagonis­ta nelle tavole popolari, mentre incontra la resistenza delle élite, che lo consideran­o volgare rispetto al pepe.

Sono i futuristi che, in Italia, esaltano il peperoncin­o, associando­lo ai

miti del loro movimento: lo sprezzo del rischio, il coraggio della velocità, la glorificaz­ione della guerra. Gabriele D’annunzio arriva a celebrare i “rossardent­i” e “folli” peperoncin­i in una poesia su un brodetto di pesce: Ode al diavolicch­io.

La spezia piace a destra così come a sinistra. A Cuba lo adorò Che Guevara e in Cina Mao Tse Tung sostenne: «È il cibo del vero rivoluzion­ario». “Perché l’attività fisica potenzia le difese” è il tema della nuova puntata del podcast in 10 puntate Il bene che mi voglio di Eliana Liotta. Il contributo è accessibil­e gratuitame­nte sul nostro sito iodonna.it e sulle App di Spreaker, Spotify, Apple Podcast e Google Podcast, così come tutte le puntate precedenti.

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La capsaicina del peperoncin­o rosso è responsabi­le del sapore piccante, che ha conquistat­o un terzo degli abitanti del pianeta.
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