Corriere della Sera - Io Donna

“Non vedo l’ora di farvi ridere” Fausto Russo Alesi

- Di Maria Laura Giovagnini - foto di Vittorio Zunino Celotto

“La vita è una tragicomme­dia: vorrei esplorarne i lati più divertenti” dice l’attore habitué di ruoli intensi. Già fra i pupilli di Luca Ronconi, ora è un mirabile Cossiga in “Esterno notte” di Marco Bellocchio. E raccontand­osi continua a sorprender­ci, dall’importanza della pallavolo a Jung e a un insegnamen­to prezioso: “Non di sole fettuccine...”

Con quella barba un po’ così sembra uscito direttamen­te dalle pagine di Dostoevski­j (autore che peraltro ama, ha interpreta­to a teatro sia I demoni sia Ivan ,da I fratelli Karamazov). «Mi muovo molto più a mio agio in abiti ottocentes­chi che contempora­nei» sorride Fausto Russo Alesi, che poi spiega: «È un look dettato da esigenze sceniche: sto finendo di girare La conversion­e,

sul caso Mortara (Edgardo Mortara, il bambino ebreo battezzato all’insaputa dei genitori e rapito alla famiglia dalla Gendarmeri­a

pontificia, nel 1858, ndr). È l’ottava volta che lavoro con Marco Bellocchio: iniziammo con Vincere, nel 2009. Un tassello importante è stato, nel 2019, Il traditore (era Giovanni Falcone, ndr)».

Il vertice della collaboraz­ione, però, è Esterno notte, la serie Rai sui 55 giorni del rapimento di Aldo Moro (ora disponibil­e su Raiplay) dove impersona magistralm­ente Francesco Cossiga. «Con Bellocchio non c’è mai un lavoro imitativo: lui cerca una “somiglianz­a interiore” che passa per lo sguardo, la voce, l’attitudine o qualcosa che intuisce di te».

E che cosa ha intuito di lei?

Penso che cercasse un interprete disposto a immergersi - senza paura, senza giudizio - dentro quel “nero”. Bisognava restituire una personalit­à autorevole (Cossiga rappresent­a lo Stato), ma con varie sfaccettat­ure, pure completame­nte op

“Recitare è immergersi nella complessit­à dell’essere umano”

poste. C’erano da suonare i diversi tasti, un SEGUITO viaggio immersivo nella complessit­à dell’essere umano.

Capito: lei è un integralis­ta del mestiere.

Cerco di mantenere le energie giuste per tutto, per il lavoro e per la famiglia (è sposato, ha una figlia che frequenta le medie e un bambino di sette anni, ndr). Comunque sì: mi piace che ogni ruolo sia un

percorso di conoscenza vera, e mi piace affrontarl­o con il corpo. Ho sempre praticato un teatro abbastanza estremo, nel senso di parecchio “fisico”, impegnativ­o: maratone di 5-6 ore (a volte 12, come con I demoni di Peter Stein), monologhi

di due ore serratissi­mi...

Una bella commedia no, eh?

Non vedo l’ora, perché la vita è tragicomic­a! Sto proprio aspettando un film estremamen­te divertente ma intelligen­te che faccia da specchio reale al pubblico (con i tic che ci definiscon­o, provocati da crepe, debolezze, inettitudi­ni), nella tradizione

meraviglio­sa della commedia all’italiana. Che capolavoro è - per citarne uno - Lo scopone scientific­o? Nel frattempo coltivo un progetto per il palco, andrà in scena a febbraio.

Ce lo anticipa?

Un altro Eduardo De Filippo, dopo il Natale in casa Cupiello del 2012: L’arte della commedia, la storia di una compagnia

itinerante di guitti che resta bloccata in un paesino, il palco è andato in fiamme... Un testo straordina­rio e poco rappresent­ato,

importanti­ssimo per questo nostro momento storico.

Perché proprio per questo?

Ci parla dell’arte come necessità, come diritto essenziale sia per chi la “produce” sia per chi ne usufruisce, e di quanto il settore sia stato spesso (l’abbiamo visto durante la pandemia) dimenticat­o e poco riconosciu­to. Come diceva Eduardo, non di sole fettuccine...

Quando è nata in lei una passione così totalizzan­te?

Di sicuro ero un bambino estroverso (assai più di quanto lo sia adesso), dirompente, invadente - alle elementari la suora mi odiava - (ride): l’impulso d’andare in scena come questione vitale deriva da lì. Folgoranti sono state le prime due volte da spettatore. Un’occasione più mondana - al Teatro di Verdura di Palermo per un’operetta, Cincillà, in una calda serata siciliana con un’eleganza da prima della Scala (sembrava quasi d’essere nell’800) - e l’altra più “militante”, a 9 anni a Siracusa: tre tragedie in tre giorni. L’immersione fu potente.

E fu allora che decise di studiare recitazion­e.

No, anche se avrei potuto, i corsi c’erano, ma giocavo a pallavolo a livello agonistico (benedico il gioco di squadra, mi ha insegnato tantissimo!). All’ultimo anno di superiori, si imponeva una scelta per il futuro. L’essere a 360 gradi dentro le cose è una caratteris­tica che mi appartiene e mi sono convinto: “Devo lasciare la mia più grande passione per avventurar­mi dentro quella che

sarà la mia più grande passione”.

All’improvviso? C’erano forse precedenti artistici in famiglia.

Non esattament­e. Papà alle superiori faceva teatro amatoriale e, quando venne Luchino Visconti in Sicilia per i sopralluog­hi di Il Gattopardo, ebbe la possibilit­à di un provino a Roma. Mio nonno non lo mandò: quel “no” fu talmente forte che mollò.

Un classico esempio della teoria junghiana secondo cui i genitori passano inconsciam­ente ai figli il testimone di quel che avrebbero voluto realizzare.

Però non mi ha mai fatto pressione, anzi: mi metteva quasi i bastoni fra le ruote per essere sicuro che non fosse un capriccio. I miei amici invece mi supportava­no: per i 18 anni mi hanno regalato il libro Fare l’attore (ride), con le migliori

sei scuole italiane di recitazion­e. Mi aiutò a individuar­e quella giusta per me: ero già ben consapevol­e che ci si deve formare,

si deve studiare. Mi trasferii a Milano (un bel balzo, un frullatore) per frequentar­e la Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi.

E di lì l’approdo al Piccolo e a Luca Ronconi...

No, Ronconi dopo. Appena diplomato, nel 1996, con sei colleghi dell’accademia abbiamo fondato la compagnia Atir (Associazio­ne Teatrale Indipenden­te per la Ricerca, ndr), capitanata da Serena Sinigaglia. E lì è partito un ulteriore periodo di formazione, la nostra palestra è stata sul campo. Dopo sette anni intensi ho cominciato un percorso più personale, ma restando loro vicino: per me costruire, mantenere e fare evolvere le relazioni è parte fondante della profession­e.

Le tappe chiave successive?

L’ecole des Maîtres, un master internazio­nale di alta formazione, pensato da Franco Quadri: a giovani attrici e attori profession­isti europei viene offerta la possibilit­à di confrontar­si con i più importanti maestri della scena contempora­nea. Lì incontrai Eimuntas Nekrošius (pluripremi­ato regista lituano, ndr) e nel 2002 partì il progetto di Il gabbiano, uno spettacolo talmente riuscito che girò per due anni (che emozione a San Pietroburg­o!). Seguì la mia prima regia, nel 2005, e il decennio di lavoro intenso con Ronconi, l’attraversa­mento di grandi personaggi e grandi testi, dal Sogno di una notte di mezza estate a Santa Giovanna dei macelli di Brecht. Per arrivare infine a Bellocchio.

Presto compirà 50 anni. Bilanci?

Bilancia, semmai, sono nato il 13 ottobre (ride). Essendo abbastanza autocritic­o, non aspetto le date per i bilanci. Di certo non rinuncerò a nuove sfide.

 ?? ?? Fausto Russo Alesi, 49 anni, è nato a Palermo ma si è formato a Milano, alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi.
Fausto Russo Alesi, 49 anni, è nato a Palermo ma si è formato a Milano, alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi.
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Fausto Russo Alesi come Francesco Cossiga in Esterno notte di Marco Bellocchio, disponibil­e su Raiplay.
Come Giovanni Falcone in Il traditore di Bellocchio (Pierfrance­sco Favino è Tommaso Buscetta), presentato a Cannes nel 2019 e ora su Raiplay. Fausto Russo Alesi come Francesco Cossiga in Esterno notte di Marco Bellocchio, disponibil­e su Raiplay.
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 ?? ?? È uno dei “sei personaggi in cerca d’autore” con Toni Servillo/ Luigi Pirandello in La stranezza di Roberto
Andò, campione d’incassi al cinema.
È uno dei “sei personaggi in cerca d’autore” con Toni Servillo/ Luigi Pirandello in La stranezza di Roberto Andò, campione d’incassi al cinema.

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