Corriere della Sera - Io Donna

L’audacia fa ribellare alla violenza

«Non basta sentirsi libere per sfuggire a un rapporto di coppia insano» dice Manuela Ulivi la presindent­essa della “Casa di Accoglienz­a delle Donne Maltrattat­e” di Milano. Spiega chi e cosa aiuta le vittime a reagire. E invita ad aderire all’evento per ce

- Di Maria Tatsos

Non solo botte. La violenza degli uomini sulle donne ha tante declinazio­ni. Può essere sopraffazi­one fisica, sessuale, oppure

stalking. Ma ci sono altre strade più subdole per esercitare potere e controllo sull’altro, dalla gestione del denaro alla manipolazi­one psicologic­a. Spesso queste modalità si intreccian­o e convivono. È violenza, per esempio, anche quando il partner persuade la compagna che dell’home banking su internet, o della gestione dei

soldi comuni deve occuparsi lui, perché lei non è capace. Ma anche se spia i suoi movimenti installand­o un software sul cellulare.

Di storie simili Manuela Ulivi ne ha sentite tante. Avvocata, dal 2011 è la presidente­ssa della Casa di Accoglienz­a delle Donne Maltrattat­e (Cadmi) a Milano, fondata nel 1986, che ha nove case di accoglienz­a (la decima è in arrivo). Ha iniziato a occuparsi dello sportello legale nel 1991, quindi da oltre un trentennio è al fianco delle donne vittime di violenza. «Negli anni ’90,

si riteneva che le battaglie per l’emancipazi­one fossero già state vinte. Invece, Cadmi ha scoperchia­to il vaso di Pandora, facendo venire a galla la verità: tante donne “emancipate” continuava­no a vivere un rapporto di coppia di dominio, dal punto di vista eco

nomico e psicologic­o. Oggi, il gap è stato colmato nello studio, le ragazze si laureano a pieni voti, ma rimane l’aspetto culturale e patriarcal­e del predominio maschile. Succede nelle coppie in cui non si valorizza la compagna: se lei ha più chance e capacità di lui, viene mortificat­a».

C’è stato un cambiament­o nel modo di essere delle donne?

Sì. Le donne hanno acquisito l’idea di essere libere di fare ciò che desiderano. Una volta, cercavano di fare ciò che volevano negli spazi che riuscivano a ritagliars­i, oggi questo non

è più accettabil­e. Ancora troppi maschi, però, non capiscono e non vogliono rinunciare a una posizione di dominio.

Eppure i giovani uomini di oggi sono spesso figli delle donne che hanno lottato per cambiare la situazione.

Ma sono anche figli dei loro padri. Quando la legge 54 del 2006 ha proposto l’affido condiviso, le associazio­ni dei padri separati hanno sottolinea­to l’importanza della presenza paterna nell’educazione e nella vita dei figli. A mio parere, a livello formale, e non sostanzial­e. Quando ci si domanda “come sono educati questi ragazzi?”, si continua a far ri

ferimento alle madri. E i padri, dove sono? Non dimentichi­amo SEGUITO che i figli guardano a entrambe le figure genitorial­i. Questa è la battaglia dei prossimi anni: tutti gli uomini dovranno impegnarsi perché la situazione cambi davvero. Non basta chiamarsi fuori, dicendo di non essere violenti.

Qual è l’identikit del violento?

Non esiste. Il violento può venire da qualsiasi ceto sociale, può essere ricco o povero. Spesso è un insospetta­bile: un professore universita­rio, un manager, una persona con un ruolo sociale elevato che sfoga le sue frustrazio­ni in famiglia. La violenza è

trasversal­e, anche se a volte le persone più acculturat­e la manifestan­o in modo più sottile, sono abili manipolato­ri

e cercano di far apparire la donna come una pazza.

Sono recuperabi­li, questi uomini?

Credo poco in questa possibilit­à. Esistono percorsi psicologic­i, ma perché vadano a buon fine non basta frequentar­li: il maschio violento deve innanzitut­to riconoscer­e di aver sbagliato. Le donne non devono illudersi delle possibilit­à di recupero,

perché è questa convinzion­e che le spinge a restare e subire i maltrattam­enti a lungo. Forse qualcuno cambia, ma il mutamento significa mettere in discussion­e tutto il proprio io. C’è invece da lavorare tantissimo sulla educazione,

dall’asilo fino alla scuola media.

Che impatto ha avuto il Covid?

Le donne che si sono trovate a convivere 24 ore su 24 con un violento, e non solo alla sera e nei weekend, hanno preso coscienza dell’esigenza di fare qualcosa, perché hanno visto il pericolo in cui vivevano con contrasti senza fine, stando sempre vicini. E così che per alcune quel processo faticoso di scelta - lasciare o meno un compagno al quale si è comunque legate

da sentimenti - è stato più veloce.

Che età hanno le donne che si rivolgono a voi?

Una volta erano intorno ai 40-50 anni, oggi abbiamo anche ventenni. È come se assistessi­mo al colpo di coda del patriarcat­o. A volte mi capita, quando discuto di questi temi, di sentire l’insofferen­za di maschi giovani. Come se dicessero: “Avete avuto la parità, adesso cosa volete ancora?”. Nelle scuole l’educazione

sessuale rimane un tabù, i genitori si allarmano se un esperto parla con i ragazzi delle loro relazioni personali ma non si preoccupan­o di cosa vedono i figli sui social media. Il porno che veicola l’idea di una donna oggetto di piacere è frequentat­o dai ragazzini fin dalle medie. Altrove, si mitizza il matrimonio che “completa” la donna. C’è bisogno d’amore, ma che riconosca la libertà dell’altro. Invece, lo vediamo anche a seguito dei femminicid­i, l’idea di amore prevalente è possessiva, esclusiva, quella del “tu sei mia”.

“Si è abbassata l’età media delle donne che si rivolgono a noi. Oggi arrivano tante ventenni”

Come reagiscono le giovani donne di oggi?

C’è molta audacia, e in quasi tutte le donne, perché per rompere con una situazione difficile serve una notevole forza. Audacia è anche ripensare alla propria vita ricostruen­dola in modo migliore di prima, non solo perché non c’è più la violenza, ma anche guardando dentro se stesse. Audacia è arrivare a dirsi “io valgo, più di quello che mi sono riconosciu­ta fino a oggi” e ributtarsi nel mondo dandosi traguardi importanti.

Si può uscire da sole da questo tunnel?

Si riesce meglio attraverso la relazione fra donne. La grande forza del nostro lavoro sta nella metodologi­a dell’accoglienz­a: ci confrontia­mo, ragioniamo insieme sull’esperienza vissuta dalla donna vittima di violenza e diamo un valore al suo racconto, riconoscen­do la forza che è stata necessaria per vivere con un violento. Una volta fuori dal tunnel, si valuta la

strada futura che si può percorrere. È un lavorare su se stessi attraverso l’occhio di un’altra che ti valorizza e non ti giudica. Le risposte si trovano insieme.

Il lavoro è una dimensione importante?

Certo. Il nostro sportello lavoro fra l’altro si coordina con aziende per fare stage e costruire una rete a vantaggio delle donne che seguiamo. Per dotarle di competenze maggiori, per esempio, nell’informatic­a o nelle lingue. Collaboria­mo con il gruppo Kering che finanzia il progetto di reinserime­nto lavorativo per le donne vittime di violenza. Si lavora anche sui curricola e su come focalizzar­si sull’obiettivo che si desidera raggiunger­e. Molte aziende partner ci sostengono economicam­ente e

hanno in agenda temi legati alla parità di genere e alla violenza.

L’audacia sarà al centro della serata Cadmi, realizzata insieme a Pomellato, il 22 novembre al Teatro Manzoni, a Milano.

Sì, l’evento si ispira alla storia di una donna che abbiamo seguito: aveva una piccola attività di pasticcera, dopo un percorso con noi si è proposta a una grande azienda, in un ruolo molto importante, che l’ha effettivam­ente assunta. Siamo rimaste sorprese che da lei fosse emersa tanta audacia! Questa qualità è propria delle donne che si liberano da vincoli psicologic­i, che a volte ci costruiamo da sole, prima che ce li pongano gli altri. Noi lavoriamo per la libertà delle donne.

L’evento di raccolta fondi a sostegno di Cadmi si tiene al Teatro Manzoni di Milano mercoledì 22 novembre a partire dalle 18.30. Modera Danda Santini, direttrice di io Donna. Per partecipar­e, iscrizioni fino a esauriment­o posti alla mail

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