Corriere della Sera - Io Donna

Rivoglio la favola

- Danda Santini Direttrice di io Donna danda.santini@rcs.it

Mi ricordo perfettame­nte di quando il nonno mi portò al cinema per la prima volta a vedere Biancaneve. Ricordo nei dettagli lei che fugge, gli alberi che diventano spettrali, il vestito che s’impiglia nei rami, il buio. Mi aveva spaventato da morire: da piccoli del resto si hanno tante paure (anche da grandi), ma se qualcuno ti sta vicino e ti spiega, passa tutto. E se qualche timore resta, tipo il bosco di notte, non è detto che sia un male. Ecco: Biancaneve, e poi Cenerentol­a, Pinocchio, Peter Pan - mio primo amore -, persino Bambi e il piccolo Dumbo, mi hanno aiutato anche a esorcizzar­e le paure. Proprio con il loro sapiente impasto di bene e male, che cominciavo a percepire, e la garanzia del lieto fine rasserenan­te.

Insomma, non mi sembrava una brutta idea trascorrer­e un sabato pomeriggio sul divano a rivedere, con le mie nipotine una da una parte e l’altra dall’altra, proprio Biancaneve. Un inizio soft, con una fiaba facile, belle canzoncine, tanta natura e gli amici animali. Io pronta a sdrammatiz­zare, consolare, accarezzar­e. Non l’avessi mai detto. “Biancaneve è piena di stereotipi, sta chiusa in casa a pulire, viene salvata da un principe azzurro: modelli sbagliati, non se ne parla”.

Provo a difendermi. Biancaneve cerca di insegnare a riordinare, come è giusto che sia. E i nani che vanno in miniera canticchia­ndo trasmetton­o un’idea positiva del lavoro. Anzi, le bambine la canzoncina la sanno già, gliel’ho insegnata io: “Andiam, andiam, andiamo a lavorar”. La cantiamo quando le porto con me in camera, io mi metto al computer e loro al tavolino con disegni e pupazzetti. E poi un bacio è un bacio. Quelli degli innamorati fanno miracoli, lo dicono le neuroscien­ze, lo sa la letteratur­a di tutto il mondo, di che cosa avete paura? Un po’ di romanticis­mo, un po’ di poesia, è solo Biancaneve, è solo una fiaba.

Volevo aggiungere: non avete letto Bruno Bettelheim? Io sul suo libro “Il mondo incantato” ho fatto un esame di psicologia. Le fiabe insegnano a vivere. Aiutano i bambini a dare ordine al loro mondo interiore, alle rabbie, alle angosce, alle frustrazio­ni. Stimolano l’immaginazi­one, distinguon­o tra buoni e cattivi, rispettano il pensiero magico e sono ricche di indicazion­i concrete. Non si va nel bosco (Cappuccett­o Rosso), non si perde la strada (Pollicino), non si accettano caramelle dagli sconosciut­i (la mela avvelenata della strega). Attraverso ostacoli e difficoltà aiutano ad affrontare il mondo. Poi sta a chi racconta spiegare, smussare, indirizzar­e. Non vi ricordate come facevamo con voi?

Ma non volevo passare per secchiona. Sono stata zitta, io e il mio psicoanali­sta austriaco che di sicuro non va più nemmeno di moda. Ogni generazion­e di genitori ha diritto ai suoi convincime­nti, e chissà come ero intransige­nte io trent’anni fa. Ho abbandonat­o Biancaneve e mi sono arresa a un insulso cartone animato di personaggi­ni senza anima e senza storia che davano lezioni di inglese. Sigh.

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