Corriere della Sera - Io Donna
“Sento di appartenere a un luogo che non c’è più”
Al mattino allenamento, poi un pranzo veloce e leggero, al pomeriggio le prove in teatro, la sera in scena con Samusà. Virginia Raffaele ha metodo, disciplina e una lunga abitudine al lavoro. Ha iniziato da bambina, quando dava una mano ai genitori al lunapark dell’eur, a Roma. Mentre i compagni erano in vacanza, lei caricava i fucili del tiro a segno o controllava il tagadà, e non le pesava. Anzi, quella vita e quei ricordi le sono rimasti dentro; un materiale emotivo che le dà forza e le ha insegnato a guardare il mondo con occhio affettuoso e ironico. Il suo varietà Colpo di luna, che si è appena concluso su Raiuno, è stato «un giro di giostra». In Samusà, di nuovo in tournée per tutto il mese di febbraio, Virginia si nutre di quel mondo fantastico.
Ma siccome a lei le sfide piacciono, e soprattutto le piace vincerle, è stata felice di partecipare a un’esperienza completamente diversa: il nuovo film di Riccardo Milani, Un mondo a parte (in sala a fine marzo), una commedia ambientata in un paesino del Parco nazionale d’abruzzo. L’attrice interpreta una vicepreside agguerrita ed è al fianco di Antonio Albanese, un maestro che ha lasciato la città per i monti. Una scoperta. Eppure, anche qui, il suo passato di giostraia ha giocato un ruolo.
Abbiamo girato a Opi, un paesino delizioso vicino a Pescasseroli, un presepe. Che umanità, che comunità; mi sono sentita tanto accolta. Non tutto era semplice. La mattina uscivamo alle 3.30, con -7°: è il metodo Milani, cattivissimo. Ma dovevamo girare prima dell’alba, la tempistica era quella. Sul set gli unici attori protagonisti eravamo io e Antonio. Un’esperienza bellissima, sia cinematografica, sia di vita.
Com’è andata? Antonio Albanese è un maestro, lei è la vicepreside. A un certo punto si viene a sapere che la piccola scuola dovrà chiudere, per mancanza di iscrizioni. Che cosa succede?
Succede che per la comunità la scuola è centrale, se chiude vuol dire che chiude l’intero paese. E la gente non ci sta. C’è un forte messaggio di partecipazione, di senso civico. Per la “mia” Agnese è anche una battaglia personale: è cresciuta in un borgo che dopo la chiusura della scuola è stato abbandonato e non vuole che la storia si ripeta. Le è rimasta dentro questa cosa. Riccardo mi aveva visto in teatro, con Samusà ,e mi ha chiamata. Anch’io, come Agnese, sento di appartenere a un luogo che non c’è più, il “mio” lunapark. Mi ha cercato per questo. Gli ho voluto bene.
Ricordo in particolare il liceo artistico, mi piaceva tantissimo. Durante il lockdown ho riscoperto la passione per il disegno. Ho ripreso in mano l’album e ho contattato il mio professore di allora, Bernardini, che mi ha dato dei consigli utili. In Samusà il fondale iniziale è realizzato con i miei disegni, ci sono i ricordi delle giostre. Questo mestiere