Corriere della Sera - Io Donna

È successo qualcosa?

- Danda Santini Direttrice di io Donna danda.santini@rcs.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Non l’avevo notata. Le signore di una certa età in difficoltà hanno un aspetto decoroso: solo a uno sguardo attento si percepisce qualcosa di arreso, consumato. Sono timide, sussurrano invece di chiedere decise, non tendono nemmeno la mano. Anche lei deve avermi chiesto sottovoce “Per favore, per favore signora”, come mossa da un’urgenza. Me ne sono accorta solo dopo averla superata, come se la sua voce mi avesse inseguita. Alle signore disarmate e vergognose, un mazzolino di fiori stretto in mano, non si può essere indifferen­ti. Ho frugato frettolosa­mente nelle tasche e sono tornata indietro, pensando che non l’avrei più trovata. Invece era lì, alta, gli occhi chiari cerchiati, i capelli ricci appena scomposti, un trench troppo leggero, il viso scavato di chi ha un tormento. Doveva essere ben disperata per essere sul corso trafficato, ferma dove corrono tutti, controcorr­ente rispetto al flusso, quasi una pietra d’inciampo. Quando le ho messo in mano i miei spiccioli, i nostri sguardi si sono incrociati. La domanda mi è salita spontanea, senza una vera intenzione: “Che cosa è successo?”. Mi ha risposto tutto d’un fiato, come se quella domanda se l’aspettasse: “Ho perso il lavoro, facevo la badante e l’anziano è morto. Ma devo tirare solo fino a fine mese, perché poi ho trovato due bambini a cui fare da babysitter, non manca tanto”. E ha allargato un sorriso fiducioso.

“Auguri allora” le ho detto, e sono subito scappata via, un po’ confusa e vergognosa io, come se avessi infranto un legittimo muro di privacy con una domanda indiscreta. Come se avessi voluto accertarmi che ci fosse un problema e non una truffa. Come se avessi dubitato che si potesse passare in un attimo dalla quotidiani­tà di casa calda e cibo abbondante al nulla, buio e fame. Nonostante la buona volontà, l’impegno e la condotta perbene. E dire che sono stata aiutata da tante donne babysitter, badanti, collaborat­rici domestiche -, piombate all’improvviso nella disperazio­ne, davvero sole. Ho ascoltato troppe storie amare dove solo il caso determina a chi può succedere e a chi no.

Avrei dovuto darle di più. Avrei potuto evitare quella domanda sciocca. Ma avevo appena letto di un’antica pratica ebraica: quando il tuo cuore è spezzato, la morte ti ha toccato, ti senti solo o perduto, è bene condivider­e il dolore. Duemila anni fa i credenti salivano al tempio entrando dalla porta a destra e poi girando in senso antiorario. I sofferenti, le anime in pena, le persone in lutto, entravano invece dal lato sinistro, girando in senso orario in modo da offrirsi al flusso controcorr­ente. Chi incontrava l’anima dolente chiedeva: “Che cosa è successo? Perché soffri?” e dopo aver ascoltato per qualche istante, prima di riprendere il cammino, avrebbe confortato: “Ti vedo. Non sei solo”. Forse anche a lei aveva fatto piacere il mio frammento di interesse. Forse non chiedeva solo soldi. Aveva bisogno anche di altro, come tutti. Un segno d’attenzione, una parola di conforto, chissà.

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