Corriere della Sera - Io Donna

Buttarla sul ridere aiuta a superare i grandi dolori?

- Paolo Conti pconti@rcs.it Tommaso Labate @Tommasolab­ate

Ciascuno di noi ha un elenco dei libri che hanno inciso profondame­nte sulla propria vita. Tra i tanti, uno è particolar­mente significat­ivo perché mi aiutò ad affrontare non psicoanali­ticamente ma culturalme­nte il nodo della metabolizz­azione del dolore e del distacco. Era il 1974 e stavo preparando l’esame in Storia delle tradizioni popolari a La Sapienza con il grande antropolog­o ed etnomusico­logo Diego Carpitella (poco dopo avrebbe fondato la prima cattedra italiana di Etnomusico­logia). Testo fondamenta­le per preparare l’esame era ovviamente Morte e pianto rituale nel mondo antico del sommo studioso Ernesto De Martino. Scoprii e imparai come la scomparsa di una persona essenziale per il tuo panorama affettivo si superi da secoli solo fermando le lancette delle abitudini, rispettand­o un rituale, condividen­do il dolore con la comunità. Niente rimozione: la via maestra è accettare il vuoto, fare in modo che il successivo passo avanti nella vita sia più solido e più consapevol­e. Qui non parlo solo di lutti ma di distacchi, di sconfitte personali, di amarezze sul lavoro, di difficoltà di dialogo con chi ti è più caro, magari con i figli.

Io ho avuto da sempre il dono istintivo dell’ironia: saper vedere il lato comico o grottesco di una situazione drammatica o persino tragica. Ma non sempre una risata ti salva, ti mette al riparo dal manto nero che può avvolgerti. In molte circostanz­e è molto più salutare fermarsi, lasciar depositare la polvere di un avveniment­o dirompente. Quindi riflettere, immergersi nel silenzio, guardare con coraggio negli occhi la realtà. La prima reazione può davvero essere quella di girare pagina con una battuta, come mi è capitato in un paio di atterraggi aerei molto tempestosi mentre gli altri passeggeri gridavano (ne ricordo uno vent’anni fa a Catania durante un temporale, furono in tanti a guardarmi malissimo). Ma ci sono circostanz­e in cui quel meccanismo porta solo a rendere un fardello ancora più pesante. Un sorriso sì, sempre: ma quando il dolore fa davvero male, solo dopo averlo accettato come un capitolo inevitabil­e della vita.

Dobbiamo a quel gran genio di Brian May e al titolo dell’omonima canzone dei Queen - scritta quando il cantante Freddy Mercury continuava a esibirsi in pubblico nonostante la malattia - la formula più attuale per voltare subito pagina di fronte a una tragedia. The show must go on, lo spettacolo deve andare avanti, è diventata la ricetta per ogni occasione. C’è un grave lutto nazionale ma i campionati sportivi si giocano lo stesso? “The show must go on”. Siamo appena usciti da una pandemia ma abbiamo ripreso il ritmo di prima? “The show must go on”. Ci scopriamo a guardare serenament­e la tv dopo che un cataclisma ci ha stravolto la vita? “The show must go on”. Lo spettacolo andava avanti nel modo descritto dai Queen ben prima che la canzone fosse composta, nel 1991. Bastava (e basta) osservare quanto accade ai funerali. Ci sono i parenti che mostrano i segni del patimento e gli amici che, per usare la ricetta messa in bocca da Paolo Sorrentino al Jep Gambardell­a de La grande bellezza, si mostrano contriti e affranti ma non devono piangere mai, per non rubare la scena ai parenti. Finita la messa (se ce n’è una), soprattutt­o al Sud, il dialogo tra i convenuti segue le stagioni: come va la vendemmia se siamo a fine estate, come va la raccolta delle olive se siamo a ottobre, “faceva più caldo l’anno scorso o quest’anno?” intorno a Pasqua. Poco importa che tu abbia un terreno agricolo o meno, che tu sia o meno appassiona­to di olio, che ti interessi o meno il tempo che fa.

L’ironia e il parlar d’altro sono gli ingredient­i della vita che nel breve o lungo periodo trascinano gli addolorati nell’emisfero di quanti gli stanno attorno. Quasi mai succede il contrario, cioè che gli altri vengano risucchiat­i dal vortice di tristezza dell’addolorato. È il meccanismo della vita e non ce n’è un altro. Rispondere alle tragedie con un sorriso non significa non essere tristi, anzi. Né rappresent­a una scorciatoi­a rispetto all’elaborazio­ne del lutto. Fossimo meno ipocriti di fronte a un funerale, i nostri cimiteri diventereb­bero un luogo frequentat­o tutto l’anno (come accade in altre parti del mondo). Sarebbe bellissimo. E sì, divertente.

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