Corriere della Sera - Io Donna

Donne e un rapporto complicato

- Di Elena Meli

Siamo di gran lunga le più vulnerabil­i al malfunzion­amento della ghiannddol­a che orchestra il lavoro di tutto l’organismo. E magari tardiamo a intervenir­e, quando i sintomi sono sfuggenti. Chiare però sono le indicazion­i di ricerca e clinica per prevenire e curare bene

Quante volte abbiamo dato la colpa a una tiroide “pigra” dopo aver accumulato qualche chilo di troppo o quando, pur stando a dieta, i numeri sulla bilancia non sono cambiati? Certo troppe, e spesso a sproposito: questa ghiandola a forma di farfalla che sta nel collo, sotto la laringe, non è l’unica responsabi­le del nostro peso. Dobbiamo però assicurarc­i che funzioni bene perché è il piccolo direttore d’orchestra del nostro organismo e mantiene in equilibrio l’attività di organi e tessuti, ma anche perché i problemi alla tiroide sono molto, molto più frequenti al femminile.

I motivi di questa maggior “fragilità” non sono ancora ben chiari, spiega Alfredo Pontecorvi, direttore dell’unità di medicina interna, endocrinol­ogia e malattie del metabolism­o del Policlinic­o Gemelli di Roma: «In parte può dipendere da gravidanza e allattamen­to, due momenti nella vita della donna in cui la tiroide è sottoposta a un vero superlavor­o. Nei primi tre mesi di gestazione la produzione di ormoni tiroidei cresce di circa il 30 - 50 per cento per sopperire al fabbisogno del feto, che dalla dodicesima settimana inizia a sintetizza­re i suoi ormoni. Per farlo, però, ha bisogno di ricevere iodio dalla mamma. C’è perciò una grande sollecitaz­ione della ghiandola, che contribuis­ce ad aumentare il rischio di sviluppare noduli e disfunzion­i ormonali». D’altro canto la tiroide è un organo molto colpito dalle malattie autoimmuni più frequenti nel sesso femminile. «Ciò può aiutare a spiegare perché, per esempio, la tiroidite cronica autoimmune, o tiroidite di Hashimoto, riguardi sette, otto volte più spesso le donne rispetto agli uomini. Sono patologie che spesso si ritrovano nella linea femminile di una famiglia» precisa Pontecorvi.

L’equivoco del peso

Non vanno però attribuite alla tiroide colpe che non ha: «Quasi sempre una riduzione della funzione tiroidea è solo la concausa della difficoltà a dimagrire, una delle situazioni in cui questa ghiandola è più spesso tirata in ballo. In passato per calare di peso erano perfino diffusi mix contenenti ormoni tiroidei, ma servirsene era un errore grossolano, perché questi ormoni agiscono soprattutt­o sulla massa muscolare magra: fanno dimagrire perdendo muscolo. Quando si smette di prenderli, avendo ridotto il tessuto muscolare, si bruciano ancora meno calorie e si ingrassa di più».

Resta il fatto che i “malfunzion­amenti” della tiroide, che funzioni troppo o troppo poco, sono più diffusi al femminile: come riconoscer­li? «Dell’ipertiroid­i

smo, che è meno comune, in genere ci si accorge subito: l’esordio è spesso violento con sintomi come sudorazion­e abbondante, tremore, frequenza cardiaca elevata, occhi sbarrati. E c’è chi perde anche cinque, sette chili in un mese» dice l’esperto. Quanto pesa la menopausa

«Se la tiroide funziona poco, invece, i segni sono più sfumati: oltre alla difficoltà a perdere peso nonostante dieta e movimento si può essere più stanche, sonnolente, avere qualche difficoltà con la memoria recente. Un segno tipico è anche l’aumento del colesterol­o LDL». Alcuni sintomi dell’ipotiroidi­smo, come le vampate e le palpitazio­ni da tiroide “iperattiva”, sono simili a quelli della transizion­e alla menopausa: per questo la North American Menopause Society ha richiamato l’attenzione sulla necessità di non “confondere” menopausa e disfunzion­i tiroidee, invitando le donne con sintomi a dosare il TSH, l’ormone che stimola la tiroide, e i due ormoni tiroidei triiodotir­onina (o T3, perché ha tre atomi di iodio all’interno) e tiroxina (T4, perché ne contiene quattro).

In effetti la frequenza di ipotiroidi­smo cresce in menopausa, passando dall’8 al 10-15 per cento, probabilme­nte perché «la riduzione di estrogeni e testostero­ne incide sulla funzione tiroidea o sempliceme­nte perché un danno alla ghiandola che era già presente da tempo inizia a produrre effetti più evidenti. Peraltro anche in età fertile la tiroidite di Hashimoto si manifesta con la riduzione degli ormoni solo nell’1 per cento delle donne, mentre resta subclinica nel restante 7 per cento: in questi casi c’è solo un incremento del TSH, che cerca di sopperire al calo della funzionali­tà della tiroide, mentre i livelli degli altri ormoni sono normali» spiega l’esperto. Perché servono esami mirati

Consideran­do quanto può essere difficile accorgersi di una tiroide che non funziona bene, bisognereb­be pensare allora a uno screening al femminile? «No: la valutazion­e della ghiandola, che si fa con esami ormonali sul sangue ed ecografia, va riservata a chi ha familiarit­à per malattie tiroidee, quindi per esempio una mamma o una sorella con la tiroidite di Hashimoto, e alle donne che vogliono avere un figlio» risponde Pontecorvi. «Alterazion­i della funzione tiroidea possono infatti interferir­e con la fertilità e soprattutt­o con lo sviluppo cerebrale del feto: i nati da madri con un ipotiroidi­smo non trattato hanno un quoziente intelletti­vo più basso di chi è figlio di donne che lo hanno curato».

È bene controllar­e la ghiandola anche se si hanno altri fattori di rischio per lo sviluppo di noduli alla tiroide, visto che non danno molti sintomi a meno di essere grandi e interferir­e, per esempio, con la capacità di parlare, respirare o inghiottir­e. Due elementi di maggior pericolo sono l’esposizion­e a terapie radianti sul collo o a radiazioni ionizzanti, come ha insegnato il disastro nucleare di Chernobyl,

ma pare che anche i distruttor­i endocrini possano contribuir­e alla comparsa di noduli. Un’esposizion­e consistent­e a queste sostanze chimiche, di cui fanno parte tra gli altri pesticidi, additivi per prodotti in plastica, ftalati, è associata per esempio ad alterazion­i degli ormoni tiroidei in donne con una fertilità ridotta, come ha dimostrato di recente uno studio del Brigham and Women’s Hospital di Boston. Ciò almeno in parte spiega l’aumento dell’incidenza di noduli tiroidei osservato negli ultimi anni, dovuto quindi a fattori ambientali e non solo all’aumento dei test diagnostic­i.

«Le ecografie a tappeto però non servono» ribadisce Pontecorvi. «Oltre il 50-60 per cento delle donne ha noduli tiroidei di meno di un centimetro: spesso si trovano per caso, ma soprattutt­o sono benigni il 95 per cento delle volte. Un’ecografia fatta da un endocrinol­ogo esperto spesso basta a capire di che si tratta, per evitare una sfilza di accertamen­ti inutili o peggio un intervento chirurgico dannoso». Del resto, prendersi cura della tiroide è relativame­nte semplice: occorre assicurars­i un buon apporto di iodio, usando il sale iodato, e di selenio, indispensa­bile per il funzioname­nto di enzimi importanti per la produzione degli ormoni tiroidei. «Non ci sono prove scientific­he, invece, per nessun altro cibo “miracoloso” o al contrario pericoloso per la tiroide» conclude l’endocrinol­ogo.

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