Corriere della Sera - Io Donna
Mappe paradisiache
Weekend piovoso, l’antidoto migliore è una bella mostra. La scelta cade su Alessandro Mendini, “Io sono un drago”, alla Triennale di Milano. Rivedo, tra schizzi, disegni e progetti, l’ironia giocosa e dissacrante che ha attraversato i miei anni verdi, quelli dove “l’immaginazione al potere” non era uno slogan pubblicitario, ma una sfida nd vera su cui esercitarsi. Quando gli architetti non erano solo archistar per grattacieli extralusso, ma anche designer, grafici, collaboratori di giornali, illustratori, creativi, scrittori, e persino “poeti, preti, manager”, come si descrive Mendini nella figura fantastica, a metà tra drago e ircocervo, che dà il nome alla mostra. Rileggo, tra mobili e dipinti, architetture e vasi, la storia di una generazione che credeva in un futuro ottimista e post-moderno, coloratissimo e lieve come i nomi suggestivi delle opere: “mobili infiniti”, “case della felicità”, “oggetti a uso spirituale”, “architetture utopiche”, “monumentini da casa”, “camere senza vista”, fino all’affettuoso (e premonitore) “fragilismi”. Depurato da pesi, ansie e solitudini.
E lì mi cattura, sul fondo della prima sala, la mappa “Essere Ben Essere” realizzata per una mostra in Triennale del 2000. Un grande tazebao realizzato con matite, pennarelli e parole manifesto: “cercare la sicurezza per mente, corpo e mondo”, “tecnologia delicata”, “gentilezza-dedizione-bontà”. In un riquadro, a testa ingiù, relegato su un margine, come fosse già imprigionato ed esorcizzato, il quadriumvirato del male, “violenza, fame, guerra, dolore”. Al centro, un paesaggio ideale con un tripudio di stelle: è il “cielo degli animali”, è l’universo, è il regno della calma. Sotto, si distende il “paradiso terrestre”, il cui presupposto è l’“assenza di oggetti e di organizzazione”: una irridente autocritica per uno che di oggetti si è sempre occupato con il rigore del grande professionista. Qui ci sono invece campi, fiori e un “giardino chiuso con piccole architetture filosofiche”: sono nell’eden. Tutto ruota attorno a quel paradiso in terra così possibile, così lontano, oggi come ieri.
Di lì a poco arrivo alla “città dell’utopia”, la cui ricetta è altrettanto semplice: un vento leggero (quello della primavera?), alberi profumati, una luce soffusa (alba o tramonto, a seconda delle indoli), campi, laghi e cascatelle (quel rumore “bianco” suggerito per combattere l’insonnia), frutti dorati (elargiti dalla natura a tutti), naturalmente fiori (il pane e le rose, il necessario ma anche la poesia, come si pretendeva allora), e l’albero della conoscenza (il pensiero e la ragione, Sapiens insomma). Uomini, animali, natura. E, a sorpresa, un chiostro. Uno di quegli spazi chiusi al mondo, verdi e ombreggiati, circondati da un colonnato, che inducono pace e riflessione.
Mi ci accomoderei anch’io, ebbra di paradiso e semplicità, in quell’eden naturale, ma mi tocca l’ordinario, la spesa e le commissioni (oggetti, sempre oggetti: la dannazione di quello che manca e la tentazione di quello che desideri), seguendo la ferrea agenda quotidiana (ma chi sarei, che cosa farei senza di lei?). Oggetti e organizzazione: bel rovello. Il paradiso può (deve?) attendere.
Gentile redazione,
ho letto Il bello del verde (su io Donna n° 14) e ho una domanda: come si spiega l’abbattimento in tutta Italia di alberi secolari e di interi boschi? Perché assistiamo sempre più spesso a potature e capitozzature distruttive delle più belle chiome di piante sane presenti in centri abitati? Non dovrebbero rappresentare un bene di pregio per la comunità? Il mantra oggi dovrebbe essere “gli alberi si piantano e si curano, non si abbattono”.
Anna Ricciardo Risponde la collega Maria Tatsos, esperta di verde: Gentile Anna,
il cambiamento climatico ci impone di piantare, curare e difendere gli alberi. Eppure, gruppi e cittadini sui social denunciano capitozzature e abbattimenti indiscriminati. Perché succede? Mi sono confrontata con vari esperti.
Per quanto riguarda le potature infelici del verde pubblico urbano o nei giardini privati la causa è spesso l ’ imperizia di chi agisce. Un albero potato male, però, è più esposto alle malattie. E, nei sempre più frequenti fenomeni metereologici “estremi”, la pianta maltrattata cade più facilmente; perciò ne viene chiesto l ’abbattimento per la sicurezza di persone e cose.
Diverso è lo scenario fuori città. Purtroppo, in Italia il taglio rientra in un quadro normativo complicato e in cambiamento. Se il terreno è di proprietà privata, previa autorizzazione il proprietario è libero di abbattere le piante. Inoltre, le biomasse forestali sono ritenute dall’ue energia rinnovabile. Il legno cippato, cioè ridotto in scaglie, è bruciato nelle centrali a biomasse, o alimenta stufe e camini domestici come pellet, generando peraltro inquinamento atmosferico. Oggi tagliare alberi è diventato un business.
In conclusione: è giusto abbattere un vecchio albero se è ammalato, per lasciare spazio a nuove piante giovani.
Ma la perdita dei grandi alberi che regalano ossigeno e stoccano anidride carbonica è un danno nella lotta al cambiamento climatico e lede il diritto delle generazioni future a vivere in un ambiente sano.
Maria Tatsos
Come si spiega l’abbattimento in tutta Italia di alberi secolari e di interi boschi? Il mantra oggi dovrebbe essere “gli alberi si piantano e si curano, non si abbattono”
Buongiorno Danda,
nell’editoriale del n° 16, elencando le poche donne cui in Italia è dedicata una statua, segnala “la patriota Rosalia Montmasson, unica donna della spedizione dei Mille”.
In realtà, con i mille c’era anche la “garibaldina” Jessie Meriton White il cui impegno per la causa italiana è stato eccezionale.
Sposata ad Alberto Mario, anche lui sostenitore della causa risorgimentale e grande benefattore, avrebbe voluto fare il medico, ma divenne giornalista. Con il marito si imbarcò a Genova con la seconda ondata di garibaldini, operando come infermiera e realizzando i suoi reportage per la stampa estera fino alla terza guerra d’indipendenza.
Ho pubblicato una sintesi delle sue avventure in Verona Medica (giugno 2011). Notizie su questa “patriota” inglese devota alla causa italiana anche su enciclopediadelledonne.it
Margherita Ferrari Cara Margherita,
grazie per la segnalazione: un’altra figura femminile di spicco da aggiungere alla nostra rubrica “Donne nella storia”.
Danda Santini
Anna Ricciardo