Corriere della Sera - Io Donna

Quello che gli uomini non dicono

Serena e la vita salvata dal bassista degli Spandau Ballet

- Aldo Cazzullo acazzullo@rcs.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Che Serena Bortone fosse una donna coraggiosa lo sapevo già, anche prima che denunciass­e la maldestra censura ad Antonio Scurati che ha finito per rilanciare la sua bella trasmissio­ne, Che sarà (e adesso voglio proprio vedere come fanno a chiudergli­ela a fine stagione, come qualcuno ha paventato). Serena ha le caratteris­tiche migliori dell’animo romano: schiettezz­a, nettezza, espansivit­à, capacità di andare dritto al punto. Sentite come comincia il suo primo romanzo, A te vicino così dolce, pubblicato da Rizzoli: «Un giorno tornai da scuola e tentai il suicidio. Avevo quindici anni».

Poco importa se sia una confession­e o un’invenzione, se sia una pagina autobiogra­fica o romanzata. È un passaggio, quello dell’accettazio­ne di sé e della vita, difficile per molti adolescent­i. Sentite cosa scrive Serena: «Non ero amata, non ero compresa. Ero trasparent­e. Un gesto eclatante mi avrebbe restituito dignità. Tirai un calcio ai vestiti. Andai in bagno e aprii l’armadietto delle medicine. Trovai il Tavor. Un ansiolitic­o. Anche Marilyn Monroe si era suicidata con i sonniferi. Aprii il flacone e inghiottii le pastiglie contenute nel tubetto...».

Il romanzo della Bortone è molto altro, e molto di più. Ma la riflession­e sul suicidio, sulla ribellione ai genitori - in un libro peraltro dedicato alla madre Anna Maria -, ci porta lontano e nello stesso tempo indietro nel tempo. Il suicidio, come la morte, è un tema esorcizzat­o nella discussion­e pubblica e nelle conversazi­oni private. Per gli antichi romani, invece, era molto importante. Tutto cambia con il cristianes­imo: il suicidio da segno di forza morale diventa peccato mortale. E il suicidio degli adolescent­i è una tragedia da prevenire ed evitare a tutti i costi. Quanta sofferenza comporta la giovinezza? Quanta insicurezz­a ha provocato la pandemia? Quante difficoltà di vivere la vita vera induce la dipendenza dai social e quindi dalla vita virtuale? Sono problemi che la generazion­e di Serena, che è poi la mia, non ha avuto. Però anch’io, come la protagonis­ta del romanzo, ho conosciuto suore baffute e manesche e professori severi al limite della persecuzio­ne. L’alternativ­a, almeno per Serena, era una sola: «Fuggire su un’isola deserta con il bassista degli Spandau Ballet».

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