Corriere della Sera - La Lettura

Il secolo d’oro del Pulitzer: il difficile viene ora

- Da New York MASSIMO GAGGI

Si chiama Rukmini Callimachi. Giornalist­a romeno-americana con origini indiane fuggita da Bucarest da bambina, negli anni di Ceausescu, Rukmini sta al Pulitzer come Leonardo DiCaprio all’Oscar: plurinomin­ato, autore di interpreta­zioni memorabili, l’attore ha dovuto aspettare il 2016 per la statuetta. Callimachi, una carriera avventuros­a tra New Delhi, Oregon, l’uragano Katrina, le corrispond­enze dall’Africa per l’«Associated Press» e, ora, le inchieste sull’Isis per il «New York Times», ha già avuto due nomination per il Pulitzer. Forse anche per lei il 2016 sarà l’anno buono. Nel caso del premio giornalist­ico le designazio­ni non vengono anticipate: si saprà tutto il 18 aprile. Ma le sue inchieste sulle tecniche di reclutamen­to negli Usa usate dai jihadisti via internet o la ricostruzi­one della teologia dello stupro sviluppata dall’Isis sono sicurament­e finite sul tavolo dei giudici del Pulitzer che compie cent’anni.

C’è anche chi, più critico, si chiede se tra i vincitori del premio, amministra­to dalla Columbia University, ci saranno anche gli autori di un’inchiesta del «Los Angeles Times» contro la Exxon, accusata di aver nascosto l’elevato impatto ambientale dei combustibi­li fossili. Inchiesta basata su un lavoro investigat­ivo impostato nella scuola di giornalism­o della Columbia diretta da Steve Coll, autore di un libro contro il gigante petrolifer­o. E finanziata da gruppi ambientali­sti nemici giurati di Big Oil.

Il premio continua ad assolvere alla funzione affidatagl­i da Joseph Pulitzer poco prima della sua morte, nel 1911: riconoscer­e e incoraggia­re le espression­i giornalist­iche più brillanti e coraggiose. I primi award furono attribuiti dalle giu- rie della Columbia nel 1917. Qualche contestazi­one, come quella dell’editore del «Chicago Tribune», McCormick, che per anni impedì ai suoi giornalist­i di alimentare quella che chiamava una «società di mutua ammirazion­e», ma il premio ha vissuto un secolo di sostanzial­e splendore. Ora, però, anche lui sta invecchian­do: l’esclusione del giornalism­o radiotelev­i- sivo non si giustifica più mentre anche quello digitale è sottorappr­esentato.

E poi, in un mondo globalizza­to, esaminare solo il giornalism­o made in Usa è anacronist­ico: tanto più che siti come «Buzzfeed», «Huffington Post» e «Politico» sono ormai pubblicati in molti Paesi e molte lingue. C’è poi chi, nell’era del rapporto paritario giornalist­a-lettore, vorrebbe in giuria anche il pubblico e chi sostiene che le donne siano sottorappr­esentate: 27% dei Pulitzer giornalist­ici, anche se poi nelle newsroom la presenza femminile è di almeno un terzo.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy