Corriere della Sera - La Lettura

Il sangue e il vino della democrazia

- Di GIULIO GIORELLO

Una graphic novel mette in scena le lotte per instaurare il governo del popolo nell’antica Atene. L’opera riformatri­ce di Clistene e il colpo di Stato tentato da Isagora narrati dal pittore Leandro alla vigilia dello scontro decisivo con i Persiani a Maratona

«Le abbiamo provate tutte: monarchie, tirannie, la forza dei pochi. Tutte queste opzioni sono instabili. I re dipendono da truppe fedeli, da schiavi tranquilli; e noi dell’aristocraz­ia cerchiamo di mantenere il popolo felice promettend­o terra, piccoli regali e segni rassicuran­ti dagli dèi». Così parla al popolo Clistene in Democracy, fumetto di Alecos Papadatos, Abraham Kawa e Annie Di Donna, ora edito in lingua italiana da Guanda Graphic. L’enigmatico eroe, di cui sappiamo con precisione il solo anno di nascita (570 a. C.), che è stato visto ora come riformator­e disinteres­sato ora come manipolato­re opportunis­ta, sta ammonendo i concittadi­ni che la loro «è una cultura disperata e inquieta» e si chiede con quali strumenti istituzion­ali si possa «affrontare il futuro invece di sottrarsi alla responsabi­lità accettando un comodo tiranno o re». E stupisce gli ascoltator­i: «Dato che le persone sono la forza dominante, allora lasciate che siano le persone ad avere il potere; lasciate che votino e che gestiscano le cose, lasciate che loro siano lo Stato». Conclude: «È semplice, anche un bambino potrebbe disegnarlo per terra».

Nella storia di Democracy questo bambino è il pittore Leandro, che giovanissi­mo era «tutto disegni e niente cervello»; in realtà, un artista capace di dimostrare quanto nella «terribile» fondazione degli Stati valga «la dignità di essere apprezzato come strumento del genio», per dirla almeno con le parole di Nietzsche, il quale viene evocato in un sogno che proietta il nostro personaggi­o nell’Ottocento! Al contrario dello stereotipo che vede nel politeismo una cristalliz­zazione dei timori e delle speranze degli esseri umani, gli dèi della Grecia «ci chiedono di scegliere». Le promesse possono essere ingannevol­i, i regali inutili e le divinità terrifican­ti; ma la dea Atena dichiara alla città che «assegnare il potere alle persone è un’opera della luce e non dell’oscurità». Alla democrazia come conquista si affianca una consapevol­ezza che potremmo definire, con un certo qual anacronism­o, illuminist­ica. Come dice Leandro, «dipende da noi stessi se cresciamo o appassiamo, perché la luce che nutre le nostre radici, il fuoco che tempra l’argilla vengono da dentro di noi, non dagli dèi o da chi ci governa».

Le parole del protagonis­ta sfiorano la questione di cosa significhi narrare accoppiand­o immagine e parola, come fa appunto il fumetto. Questo modo di raccontare le modalità di un grande conflitto di idee e modi di vivere non può prescinder­e da figure concrete, mediante le quali si conferisce, com’è scritto in Democracy, «sangue e vino» all’intera vicenda. Che è appunto «universale», essendo destinata a essere rivissuta «in mille luoghi e in mille momenti diversi».

Non casualment­e tra i personaggi compare il poeta Eschilo, nato nel distretto costiero di Eleusi, due anni dopo la morte di Pisistrato. A tale tiranno, capace di grandi imprese e di inganni sottili, erano succeduti i figli Ippia e Ipparco, di inferiore statura politica. Nel 514 a. C. Ipparco venne ucciso. I tirannicid­i Armodio e Aristogito­ne lo colpirono, sembra, per ragioni strettamen­te personali. «Ma che importa!», dice Clistene in persona a Leandro: «La gente quel giorno pensò che fosse una ribellione» e questo bastò a promuovere una sollevazio­ne. Nel 510 Ippia era fuggito. Ma il frutto della «vittoria democratic­a» doveva venire colto dallo scaltro Isagora, un aristocrat­ico capace di spingere Clistene all’esilio e di allearsi con il re spartano Cleomene per instaurare ad Atene un governo «di pochi». Il col- po di Stato terminò, però, con la sconfitta di Isagora; i complici spartani finirono per rifugiarsi nell’Acropoli di Atene per sottrarsi alla collera dei cittadini. Era tempo di richiamare il teorico della democrazia.

Come scrive Edith Hall, studiosa del mondo greco al King’s College di Londra, «le differenze che Eschilo dovette notare più rapidament­e nella vita pubblica riguardava­no la riorganizz­azione dello spirito di gruppo attuata dalle riforme volute da Clistene». Lo schema voluto dal riformator­e aboliva il sistema dei clan, sostituend­olo con una ripartizio­ne in «tribù», accorpando distretti diversi e sciogliend­o i vecchi legami familiari, senza badare al censo. Così «il patrizio Eschilo si trovò spesso rappresent­ato nel Consiglio della città da contadini e lavoratori portuali! Queste misure crearono un senso di identità, condiviso da uomini di tutte le classi e di ogni condizione economica che, per la prima volta, si vedevano garantire l’uguaglianz­a davanti alla legge».

E Ippia dov’era finito? Alla corte del re Dario di Persia, signore di un impero che andava dalla valle dell’Indo fino all’Egitto, e che pretendeva la sottomissi­one delle città greche. Erano stati gli stessi Ateniesi a spedire dei messi per chiedere l’appoggio di quella superpoten­za contro gli invadenti Spartani; e il Gran Re aveva loro richiesto «acqua e terra», l’offerta simbolica di sottomissi­one che gli ambasciato­ri ateniesi avevano inizialmen­te accettato,

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