Corriere della Sera - La Lettura
Il thriller di Anne Holt è troppo bulimico
Oslo è devastata da una serie di attentati di probabile matrice islamica e nessuno ci capisce niente. Ci vorrebbe il genio di Hanne Wilhelmsen che era la più brava poliziotta della città. Ma Hanne è finita su una sedia a rotelle in seguito a un incidente sul lavoro. Barricata in casa, con la moglie Nefis (musulmana, ma in maniera tiepida) e una saccentissima figlia di undici anni, Hanne non vuole vedere più nessuno (a parte la televisione e il computer), e ha accettato di tornare a lavorare per la polizia solo per riaprire vecchi casi irrisolti. La aiuta un collaboratore pieno di tic (si tocca continuamente e compulsivamente il naso e le orecchie), che le sta molto simpatico. Chi non le sta simpatico, invece, è Billy T., il suo ex collega e migliore amico. È stato a causa di una negligenza di Billy T. che Hanne è rimasta paralizzata. Inoltre, tra Billy T. e Hanne ci fu qualcosa di tenero e lei non glielo ha mai perdonato (nel mondo di Hanne Wilhelmsen, e della sua autrice Anne Holt, l’eterosessualità se non è reato poco ci manca). Ma un giorno Billy T. bussa alla porta dell’antica amica. È disperato. Ha trovato una copia sottolineata del Corano nella camera di uno dei figli e teme che il ragazzo si sia convertito e abbia preso parte agli attentati. A questo punto mi sono quasi perso. Anne Holt scrive come una cliente in preda a bulimia che fa la spesa al supermercato. Nel carrello ci butta dentro di tutto (piccioni viaggiatori, razzisti xenofobi...). Per esempio, non mi ricordo più che ruolo aveva il tunisino Khalil, ragazzo di buona famiglia con studi alla Sorbona che, a diciotto anni, «era fiorito come può fare solo un giovane omosessuale dagli occhi vellutati e un bel sedere a Parigi». E mi cadono le braccia davanti a un dialogo come quello che segue: « — Cazzo, — sussurrò il vicecapo della polizia. — Merda, — commentò il capo». Forse Oslo è troppo a nord per me. Me ne torno a Vigàta: « — Minchia, — rilanciò il commissario Montalbano».