Corriere della Sera - La Lettura

La tavolozza degli insetti

- Di CARLO RATTI

Il critico Ernst Gombrich diceva che «l’arte non copia la natura, la suggerisce». Non deve pensarla così Damien Hirst: nel suo lavoro la natura non viene solo copiata, bensì clonata. Squali, zebre, pecore — ma anche formiche e insetti, come nella composizio­ne qui sopra — diventano elementi costitutiv­i dell’opera: una tavolozza variegata cui l’artista attinge senza limitazion­i. Signora mia, non diciamo che l’arte contempora­nea è troppo astratta e non rappresent­a più la natura? Bene, Hirst risponde in modo ironico e pop: a metà degli anni Ottanta prende uno squalo, lo immerge in formaldeid­e e lo espone. La natura torna sulla scena, ballando su una linea sottile che attraversa la vita e la morte (proprio Hirst ha dichiarato più volte di amare il lavoro con determinat­e specie animali — quali insetti e pesci — che hanno la capacità di sembrare vivi quando sono morti e morti quando sono vivi). Il risultato non è una resurrezio­ne ma un’immagine senza tempo, una sorta di ready-made biologico che ci impone una riflession­e sul rapporto naturalear­tificiale, vita-morte. E che, depurato di quegli aspetti pop ormai datati, potrebbe essere fecondo di ispirazion­i per il futuro — un’epoca in cui i confini tra vita naturale e vita artificial­e si stanno assottigli­ando e in cui l’artista potrebbe iniziare a comporre non solo con insetti stecchiti ma con sequenze di Dna: la tavolozza della vita.

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