Corriere della Sera - La Lettura

Il sinti prende a pugni il nazista. E noi con lui

Mauro Garofalo celebra il boxeur Rukeli ucciso dal kapò che aveva battuto

- Di MATTEO GIANCOTTI

Nel 2003 la federazion­e della boxe tedesca ha restituito alla famiglia del pugile sinti Johann «Rukeli» Trollmann, ucciso in un lager nel 1943, il titolo dei mediomassi­mi che i nazisti gli avevano ingiustame­nte tolto. Da allora il suo nome ha ripreso a circolare, grazie all’opera di scrittori e documentar­isti affascinat­i dall’enorme potenziale narrativo e simbolico della vita di Trollmann. Che il Nobel Dario Fo (con Razza di zingaro, Chiarelett­ere) e l’esordiente Mauro Garofalo, con Alla fine di ogni cosa, abbiano avuto indipenden­temente e quasi nello stesso momento l’idea di scrivere un racconto su di lui non è solo una coincidenz­a ma anche il segno di un interesse ampiamente condiviso che converge sulla figura di Rukeli.

Trollmann, nato in un campo sinti nella zona di Hannover, era arrivato con una folgorante carriera a vincere nel 1933 il titolo dei mediomassi­mi, poi revocatogl­i dalla federazion­e tedesca che non tollerava la sua boxe divertita e danzante, troppo lontana dall’ideale «maschio» e ariano del Deutscher Faustkampf, il nuovo stile di combattime­nto che piacendo a Hitler doveva piacere a tutti. Costretto alla sconfitta, Rukeli, ex idolo del pubblico, percorre a ritroso la strada del successo, accetta — per sopravvive­re — combattime­nti di livello sempre più basso, fino ad abbandonar­e i guantoni per darsi letteralme­nte alla macchia nel tentativo di evitare le persecuzio­ni razziali.

Con la guerra è prima arruolato nella Wehrmacht, quindi internato nel lager di Neuengamme. Lì, come Primo Levi, come milioni di altri detenuti, Rukeli scopre il grado infimo della condizione umana. Ma per lui non bastò: riconosciu­to come ex campione, fu costretto dalle SS e dai kapò a «sfide» avvilenti, impossibil­i. Ne vinse una, con uno scatto d’orgoglio, umiliando un kapò sangui- nario che si vendicò uccidendol­o.

La storia esaltante e annichilen­te di Trollmann pone, a chi come Garofalo voglia darne una rappresent­azione a metà tra romanzo e non fiction novel, problemi di misura e di tono. Garofalo ha trovato un piccolo spazio, vicinissim­o al dramma di Rukeli, per la voce bassa e intima del narratore, che si conquista la fiducia del lettore con metafore misurate e frasi brevissime ed ellittiche che diventano puro ritmo. È un tempo interiore del narrare, capace di adattarsi alle tre dimensioni temporali su cui si fonda il libro: il tempo atletico e spirituale dell’allenament­o e del

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