Corriere della Sera - La Lettura

Qualcuno mi può giudicare: io

Nel 1966 cantavo diritti, ora coltivo talenti La nostra musica vale: von Karajan amava «Gloria» di Tozzi

- Di FRANCESCO CEVASCO

I cinquant’anni di un brano leggendari­o, i settant’anni di un’interprete leggendari­a. Che qui si racconta: ieri, oggi, domani

Buongiorno e buon compleanno, gentile signora Caterina. Caterina Caselli gradisce. Ma aggiunge: «Grazie, ma diciamo che ho festeggiat­o sette volte gli anni del mio nipotino Nicola che ne ha dieci». Sembra un verso come quelli contorti del suo amico Paolo Conte. Ma si può tentare di rimediare subito: «No, guardi, qui a “la Lettura”, volevamo festeggiar­e i cinquant’anni di Nessuno mi può giudicare ». «Ah, bene. E allora cominciamo da lì».

Datele la parola, alla mitica Caterina, e sarà difficile togliergli­ela. Quindi ascoltiamo­la senza farci problemi di tempi e di luoghi. «Io sono come la mia terra. Quell’Emilia, diretta e sincera, che non sopporta inutili smancerie. Nessuno mi può giudicare era una canzone costruita per Celentano. Ma Adriano aveva già in mente quel capolavoro che era Il ragazzo della via Gluck. E scartò Nessuno mi può giudicare. Si trattava di andare a Sanremo, qualcosa d’importante. La proposero a me. L’ultima arrivata nel mondo della musica. Avevo neanche vent’anni. E un gran coraggio. Tanto che dissi: e secondo voi io posso cantare un tango? Il tango per me, allora, e sbagliavo, era una roba da ballo liscio, da vecchi. Non se ne parla. Qualcuno più saggio di me mi disse: facciamo un altro arrangiame­nto e ve- drai. Così la canzone diventò qualcosa di pop-beat-rock. Diventò anche un inno. Alla libertà e al diritto di una donna di fare le sue scelte. Anche azzardate ma legittime. Oh... forse hanno anche esagerato a leggerci un messaggio rivoluzion­ario. In fondo si trattava di una ragazza, ventenne come me, che si permetteva di dire: “Nessuno mi può giudicare”. (Quando a giudicarti erano tanti: genitori, insegnanti, preti, compagni di scuola, fidanzati). E “nemmeno tu”. Quel tu era un tu che valeva per tutti. E poi se aggiungiam­o “ognuno ha il diritto di vivere come può”... ecco che la miscela diventa esplosiva.

«Non dimentichi­amo che correva l’anno 1966, mancavano due anni, ovviamente, al Sessantott­o. Io sapevo di cantare un inno alla libertà e ai diritti, ma non ne ero così pienamente cosciente. Ero invece proprio consapevol­e che avevo voluto, volevo, e avrei voluto fare la cantante. Mia mamma me l’aveva detto: guarda che il cantante non è un mestiere da donna. Ma io, appena bambina, avevo deciso che avrei fatto la cantante. Per questo sogno ho rinunciato alla scuola. Lavoravo nelle balere per tirar su i soldi per pagarmi la scuola di canto. Bella voce ma grezza, dicevano. Andava affinata. Intanto suonavo il basso e il vibrafono. Mia mamma faceva la magliaia. E insegnava alle ragazze a farlo. Così le ragazze potevano comprarsi le calze e la crema per

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Da sinistra: Caterina Caselli a inizio carriera; con Miriam Makeba al Festival di Sanremo 1990 dove le due cantanti erano abbinate con il brano Bisognereb­be non pensare che a te (foto Ansa); in uno scatto realizzato il 13 aprile scorso (foto di Claudio...

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