Corriere della Sera - La Lettura
Qualcuno mi può giudicare: io
Nel 1966 cantavo diritti, ora coltivo talenti La nostra musica vale: von Karajan amava «Gloria» di Tozzi
I cinquant’anni di un brano leggendario, i settant’anni di un’interprete leggendaria. Che qui si racconta: ieri, oggi, domani
Buongiorno e buon compleanno, gentile signora Caterina. Caterina Caselli gradisce. Ma aggiunge: «Grazie, ma diciamo che ho festeggiato sette volte gli anni del mio nipotino Nicola che ne ha dieci». Sembra un verso come quelli contorti del suo amico Paolo Conte. Ma si può tentare di rimediare subito: «No, guardi, qui a “la Lettura”, volevamo festeggiare i cinquant’anni di Nessuno mi può giudicare ». «Ah, bene. E allora cominciamo da lì».
Datele la parola, alla mitica Caterina, e sarà difficile togliergliela. Quindi ascoltiamola senza farci problemi di tempi e di luoghi. «Io sono come la mia terra. Quell’Emilia, diretta e sincera, che non sopporta inutili smancerie. Nessuno mi può giudicare era una canzone costruita per Celentano. Ma Adriano aveva già in mente quel capolavoro che era Il ragazzo della via Gluck. E scartò Nessuno mi può giudicare. Si trattava di andare a Sanremo, qualcosa d’importante. La proposero a me. L’ultima arrivata nel mondo della musica. Avevo neanche vent’anni. E un gran coraggio. Tanto che dissi: e secondo voi io posso cantare un tango? Il tango per me, allora, e sbagliavo, era una roba da ballo liscio, da vecchi. Non se ne parla. Qualcuno più saggio di me mi disse: facciamo un altro arrangiamento e ve- drai. Così la canzone diventò qualcosa di pop-beat-rock. Diventò anche un inno. Alla libertà e al diritto di una donna di fare le sue scelte. Anche azzardate ma legittime. Oh... forse hanno anche esagerato a leggerci un messaggio rivoluzionario. In fondo si trattava di una ragazza, ventenne come me, che si permetteva di dire: “Nessuno mi può giudicare”. (Quando a giudicarti erano tanti: genitori, insegnanti, preti, compagni di scuola, fidanzati). E “nemmeno tu”. Quel tu era un tu che valeva per tutti. E poi se aggiungiamo “ognuno ha il diritto di vivere come può”... ecco che la miscela diventa esplosiva.
«Non dimentichiamo che correva l’anno 1966, mancavano due anni, ovviamente, al Sessantotto. Io sapevo di cantare un inno alla libertà e ai diritti, ma non ne ero così pienamente cosciente. Ero invece proprio consapevole che avevo voluto, volevo, e avrei voluto fare la cantante. Mia mamma me l’aveva detto: guarda che il cantante non è un mestiere da donna. Ma io, appena bambina, avevo deciso che avrei fatto la cantante. Per questo sogno ho rinunciato alla scuola. Lavoravo nelle balere per tirar su i soldi per pagarmi la scuola di canto. Bella voce ma grezza, dicevano. Andava affinata. Intanto suonavo il basso e il vibrafono. Mia mamma faceva la magliaia. E insegnava alle ragazze a farlo. Così le ragazze potevano comprarsi le calze e la crema per