Corriere della Sera - La Lettura
LA RELIGIONE DI BADIOU
L’uso di definire «fascisti islamici» i fanatici del jihad, con una formula più consona alla propaganda che alla comparazione storica, è diventato comune, dopo l’attacco alle Torri Gemelle, tra i neoconservatori americani. Ma ora ritroviamo un concetto simile in bocca al marxista Alain Badiou. Nel libro Il nostro male viene da più lontano ( traduzione di Stefania Ricciardi, Einaudi, pp. 68, € 12), il filosofo francese cataloga infatti Isis e gruppi analoghi come «un gangsterismo politico di tipo fascista». Nega però qualsiasi rilevanza alla dimensione religiosa del fenomeno, a suo avviso un semplice pretesto, per ricondurre tutto agli effetti perversi del modello occidentale, capace di suscitare negli abitanti dei Paesi poveri un’attrazione irresistibile e una feroce ripulsa che in fondo sono due facce della stessa medaglia. Colpiscono lo sgomento dell’autore per l’assenza di ogni «pensiero strategico avulso dalla struttura capitalista egemonica» (quale era in passato il comunismo) e il suo auspicio finale che a produrre la nuova visione antagonista provvedano «alleanze inattese» tra «proletariato nomade», intellettuali impegnati e gioventù inquieta. Badiou ci crede, anche se «il tempo stringe». Ma hai voglia a svalutare la religione, se poi devi rifugiarti in un atto di fede.