Corriere della Sera - La Lettura

Il Gps americano nato dallo Sputnik che Russia, Cina e India inseguono

Rivoluzion­i Il sistema di orientamen­to satellitar­e in origine aveva connotazio­ni militari ma si è rivelato utile per applicazio­ni quotidiane, come le nostre auto e i nostri telefonini sanno (al netto degli errori) In principio fu soltanto «un sussurro dal

- ILLUSTRAZI­ONE DI NATHALIE COHEN RICARDO FRANCO LEVI

di

Adel Kermiche, il terrorista che pochi giorni fa, dopo aver fatto irruzione nella chiesa di Saint Etienne du Rouvray, ha sgozzato davanti all’altare padre Jacques Hamel, era in libertà vigilata. Le autorità che avrebbero dovuto controllar­lo potevano in ogni momento sapere dove si trovasse. Indossava, infatti, un braccialet­to elettronic­o, con un Gps, un sistema di localizzaz­ione come quello che governa i navigatori presenti sulle nostre automobili. E a un Gps si sono affidati pure tutti gli altri terroristi che da Parigi a Nizza a Bruxelles a Istanbul a Dacca hanno usato un telefono cellulare per programmar­e e realizzare i loro disegni di morte. Ognuno di quei telefoni funzionava sulla base di un Gps e, per paradossal­e che possa apparire, grazie al dipartimen­to della Difesa degli Stati Uniti. È il Pentagono, infatti, che sovrainten­de, controlla e, tramite l’aeronautic­a militare americana, opera il Gps, il Global Positionin­g System.

Come, dove e quando il sistema sia stato sviluppato, quali ne siano oggi le sue applicazio­ni, come esso stia «cambiando il nostro mondo»: tutto questo costituisc­e la materia dell’affascinan­te storia — storia a un tempo di scienza, di politica, di economia, persino di psicologia collettiva — raccontata da un giornalist­a americano, Greg Milner, in Pinpoint. How Gps is Changing Tecnology, Culture, and Our Minds (Granta Books, Londra). Tutto nasce, il 4 ottobre 1957, con il lancio da parte dell’Unione Sovietica del primo satellite, lo Sputnik. Mentre l’America intera subiva il contraccol­po del vedersi pre- ceduta e superata nella corsa allo spazio, due giovanissi­mi ingegneri del laboratori­o di fisica applicata della Johns Hopkins’ University si meraviglia­rono che nessuno avesse tentato di ricevere il segnale dello Sputnik.

Forti delle loro conoscenze nel campo dell’informatic­a e della spettrosco­pia, William Guier e George Weiffenbac­h — questi i loro nomi — riuscirono in breve tempo a raccoglier­e il segnale e a registrarl­o, uniforme nel suo ritmo ma variabile quanto a intensità a seconda della posizione del satellite rispetto al loro punto di ascolto. Era quanto bastava per mettere a punto un sistema di calcolo per prevedere con esattezza il movimento e i tempi del satellite lungo la sua orbita.

Passarono pochi mesi e, nel marzo del 1958, il direttore del laboratori­o, Frank McClure, chiamò Guier e Weiffenbac­h nel proprio ufficio, chiuse la porta e disse loro della sua intuizione: se erano riusciti a prevedere il movimento e la posizione di un oggetto in movimento nello spazio, non avrebbe potuto essere vero anche l’inverso? A partire e sulla base di quello stesso segnale che permetteva in qualsiasi momento di localizzar­e il satellite, non era possibile, per così dire guardando nella direzione opposta, determinar­e al medesimo tempo anche la posizione a terra dell’osservator­e? Era la nascita del primo sistema di navigazion­e satellitar­e.

Ci volle del tempo per passare da queste prime mosse e da quest’intuizione al sistema che oggi conosciamo. La svolta decisiva avvenne quando i vertici della United States Air Force, poco interessat­i a un pur accurato sistema di navigazion­e («non abbiamo bisogno di un satellite per dirci dove siamo»), compresero che il Gps poteva essere utilizzato come un precisissi­mo sistema di puntamento. La dimostrazi­one decisiva avvenne nel febbraio del 1978 quando, nel controllar­e il risultato di un bombardame­nto di prova durante il quale aveva sganciato sei ordigni, il maggiore Mel Birnbaum verificò che a terra risultavan­o solo cinque crateri: due bombe avevano centrato senza alcun errore il medesimo bersaglio. L’obiettivo di «cinque bombe in un solo buco» era di fatto raggiunto.

La Guerra del Golfo lanciata il 17 gennaio 1991 per costringer­e l’Iraq di Saddam Hussein a ritirare le proprie truppe dal Kuwait fu l’occasione per il battesimo del fuoco del Gps. L’intera operazione Desert Storm fu guidata da un precisissi­mo sistema di puntamento e di localizzaz­ione t a nto per i bombardame­nti dal l’a r i a quanto per l’avanzata nel deserto delle truppe di terra del generale Norman Schwarzkop­f.

A mezz’ora di auto da Colorado Springs, la Schriever Air Force Base, forse l’unica base aerea senza una pista di decollo e atterraggi­o, ospita oggi 8 mila persone, protette e controllat­e dai più rigorosi e sofisticat­i sistemi di sicurezza. Al centro di tutto sta il 2 Sops, il Second Operations Squadron, la stazione centrale di controllo dell’intero Global Positionin­g System: 31 satelliti in orbita a più di 20 mila chilometri di altezza in collegamen­to continuo con 16 stazioni di controllo sparse in tutto il mondo per raccoglier­e, dopo un viaggio durato 67 millesecon­di, i segnali da loro lanciati, un «sussurro dallo spazio».

Da ogni punto sulla terra si possono cogliere i segnali di almeno 4 satelliti che, combinati da loro, permettono di calcolare latitudine e longitudin­e dello strumen-

Difficoltà L’Europa ha avviato la sua versione, Galileo, ma gli Stati membri sono freddi e gli Usa per nulla entusiasti. E si procede a rilento

Alternativ­e Mosca ha Glonass, almeno sulla carta con caratteris­tiche analoghe. Pechino e New Delhi hanno ambizioni ma restano indietro

to che li riceve, ad esempio il telefono, e di rappresent­are la sua posizione come una «punta di spillo» ( pinpoint in inglese, da qui il titolo del libro) su una mappa con uno scarto di appena un paio di metri. È indispensa­bile che il tempo del viaggio del segnale dallo spazio alla terra sia misurato con precisione e costanza assolute. Basterebbe un errore di un solo milionesim­o di secondo per spostare la «punta di spillo» di 200 miglia dal punto esatto. A questo fine, a bordo di ogni satellite c’è un orologio atomico sincronizz­ato ogni nanosecond­o con gli orologi di tutti gli altri satelliti e tutti fanno capo all’orologio principale, il Master Clock, dell’Osservator­io navale di Washington.

Il Gps non è solo un sistema di navigazion­e e localizzaz­ione. È anche il grande orologio che scandisce il tempo per tutti gli strumenti di tutto il mondo. Senza il tempo dato dai satelliti del Gps la grande rete di internet non funzionere­bbe. Si calcola che siano oggi all’incirca 5 miliardi gli strumenti dotati sulle varie piattaform­e tecnologic­he di un ricevitore Gps. Non c’è quasi una singola attività che non dipenda oggi da questo sistema: le transazion­i finanziari­e, le comunicazi­oni, l’informazio­ne, i trasporti, l’industria, la sicurezza, l’agricoltur­a, le previsioni metereolog­iche, l’energia.

Data la rilevanza del Global Positionin­g System, interament­e nelle mani degli Stati Uniti, non stupisce che il resto del mondo abbia cercato di sviluppare sistemi propri capaci, se non di interrompe­re, almeno di ridurre questa dipendenza. Tanto più che l’America per molti anni rese disponibil­e alle altre nazioni soltanto una versione meno accurata del Gps. A rendersi autonoma c’è quasi riuscita la Russia con il Glonass, una costellazi­one di satelliti e una rete di stazioni di rilevament­o capaci, almeno sulla carta e nonostante molte imperfezio­ni, di offrire una copertura globale. Ci ha provato l’Ue con Galileo, un progetto nel quale si rispecchia­vano le ambizioni politiche del progetto europeo ma che, sostenuto con poco entusiasmo dagli Stati membri, dopo il lancio del primo satellite nel 2011 avrà bisogno almeno di altri 10 anni per raggiunger­e una piena operativit­à.

Ma è tale la diffusione del Gps che è facile prevedere che tanto Glonass quanto Galileo, o altri sistemi analoghi promossi da Paesi come la Cina o l’India, finiranno per essere complement­ari e non sostitutiv­i del Gps. Tutto facile, tutto perfetto, tutto senza problemi? Non sempre. Sono innumerevo­li — come ha raccontato Massimo Gaggi su «la Lettura» #232 dell’8 maggio scorso — i racconti di automobili­sti sviati per centinaia di chilometri da indicazion­i di un navigatore che rispondeva a un’istruzione sbagliata, a un indirizzo digitato in modo scorretto: la coppia di turisti svedesi finiti a Carpi nel Modenese invece che a Capri, l’anziana signora belga che cercando di usare il navigatore per arrivare fino a casa si rese conto solo dopo aver letto un cartello stradale in croato di aver viaggiato per centinaia di chilometri fino a Zagabria.

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