Corriere della Sera - La Lettura

LA SORELLA CHE NON C’ERA

- Di MARCO BALZANO

Annie Ernaux è finalmente conosciuta anche dai lettori italiani. Ha ricevuto di recente il Premio Strega Europeo. Dunque suggerire un suo romanzo non è granché originale. Il posto e Gli anni — il primo un congedo dal padre scomparso, il secondo un catalogo, pubblico e privato, che ripercorre gli ultimi sessant’anni del Novecento fino ad affacciars­i sul nuovo millennio — hanno infatti trovato all’unanimità una critica e un pubblico capaci di riconoscer­e tutto il valore della loro autrice. Ne è stato pubblicato a maggio in Italia, ancora tradotto in modo esemplare da Lorenzo Flabbi, un terzo, L’altra figlia. (L’orma editore, pagine 88, € 8,50). Vale la pena parlarne perché si tratta di un altro capolavoro. Di un’altra lettura intensa e potente, dove ritroviamo la scrittura piana e chirurgica dei precedenti lavori, la frammentaz­ione in paragrafi brevi, un’asciuttezz­a dello stile che non si fa mai minimalism­o e che non rinuncia a una temperatur­a emotiva costanteme­nte alta, tanto più forte quanto più analizza la ferita sottopelle, il non detto e ora anche il non esistito. Ritroviamo anche, oltre alla piccola borghesia e alla provincia, la partenza obbligata dal proprio vissuto più dolente, che non si incaglia mai nel biografism­o ma si apre, soprattutt­o nei momenti più scabrosame­nte intimi, a una pluralità necessaria. Eppure questa volta è proprio l’io a cui siamo abituati a scomparire, per lasciare il posto a un «tu» che anima questa lettera a Ginette, sorella dell’autrice, morta di difterite nel 1938, due anni prima che lei nascesse. La notizia di quella morte arriva per caso, mentre Annie ascolta uno stralcio di discorso tra la madre e una cliente del suo negozio. In fondo, la trama è tutta qui. Si riassume in questa confession­e captata di nascosto, che però si fa simbolica fine dell’infanzia e scaturigin­e di pensiero su ciò che non è stato, sulle conseguenz­e dell’assenza, sulla recisione dei legami. Nella distanza siderale che separa chi vive da chi è morto senza nemmeno incrociare il nostro passaggio, nella fragile e sostanzial­mente insondabil­e dimensione di una mancanza che qui, a differenza che ne Il posto, si fa eterna perché mai sfiora l’essere, si muove la scrittura della Ernaux, di una tale maestria che riconcilie­rebbe chiunque col piacere della letteratur­a.

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