Corriere della Sera - La Lettura
La pittura è di nuovo fra noi
C’è vita oltre i manufatti e i video dell’avanguardia debole Nuovi artisti riconquistano una pratica come gesto scandaloso
Riferimenti I modelli sono Warhol, che utilizza la tv come diversa forma di arte pittorica, e Richter, che parte da fonti fotografiche
Benvenuti nei circhi Barnum della creatività postmoderna. Documenta di Kassel, Biennale di Venezia e tante altre biennali nel mondo. In questi cantieri dell’avanguardia debole c’è di tutto: installazioni, assemblage,v ideo installazioni, film, reading. Ma, da qualche anno, si avverte una grande (e drammatica) assenza. Pur nella loro diversità, quegli eventi tendono a mettere in scena l’eutanasia della pittura. Che viene trattata come un genere residuale, simbolo di un passato da cancellare. Un corpo da profanare. Ha scritto Jean Clair: «Non resta nulla (…) di quel corpo un tempo adorato, venerato, ammirato. (…) Nei prodotti che ci propone l’arte contemporanea non rimangono nemmeno dei residui, (…) delle reliquie». È un rito funerario che dura da più di un secolo. Dall’epoca delle avanguardie. Quando cubisti, futuristi e dadaisti si erano spinti oltre le modalità espressive tradizionali e ne avevano decostruito la grammatica.
Certo, nel XX secolo non sono mancati i momenti in cui la pittura è tornata di moda: negli anni Venti, nel periodo del rappel à l’ordre; e alla fine degli anni Settanta, dopo la grand bouffe del concettuale. E ora? La pittura dov’è? È davvero morta? No, anzi. È ovunque. Ci appare come un orizzonte sfasciato, i cui detriti riemergono un po’ dappertutto. Si pensi ai tanti riaffioramenti nella graphic novel, nella street art, nei videoclip, in alcuni spot pubblicitari, su Instagram, su Snapchat, nelle cover dei cellulari. Ma non solo. La pittura trionfa nelle maggiori fiere, dove il collezionismo si orienta su autori di opere che è possibile esporre in casa. Senza dimenticare che alle aste i dipinti costituiscono i due terzi dei lotti venduti: non solo perché i quadri servono ad arredare le nostre abitazioni (come ha detto ironicamente Cattelan).
E tuttavia, l’artworld continua a prediligere le provocazioni di matrice post-dadaista: quello «spettacolo del meretricio dell’arte che chiamano installazione» di cui ha parlato Rosalind Krauss. Anche se non mancano i segnali di un’inversione di tendenza. Che ci riporta alla memoria una querelle tra Cesare Brandi e Dino Buzzati. Nel 1968 il critico osservava: «La pittura non esiste più e i pittori che continuano a dipingere con i pennelli sono come i “numeri in ritardo” del lotto». La replica di Buzzati: «Sono convinto che fra non molto si tornerà precisamente alla pittura dipinta; e che sui giochetti oggi di moda si faranno belle risate». Queste differenti prospettive sono ancora attuali. Da un lato, oggi ci sono gli aedi del mainstream, che continuano a parlare di morte della pittura. Dall’altro, alcuni critici che, con intelligenza, ne stanno celebrando l’inattesa e segreta rinascita. Come Achim Hochdörfer, Manuela Ammer e David Joselit, curatori di un’intelligente mostra, Painting 2.0. Expression in the Information Age, già ospitata presso il Brandhorst Museum di Monaco di Baviera, ora al Ludwig Museum di Vienna, in cui è stato disegnato un percorso storico e, insieme, militante, scandito per sezioni tematiche ma porose.
L’incipit: la stagione della reinvenzione della pittura, quando auto riattivi nell’ alveo di espressionismo astratto, informale, neodadaismo, della po parte dei neo espressionismi— Twombly, Hesse, Niki de Saint-Phalle, Kippenberger, Rotella, Villeglé, Johns, Rauschenberg, Warhol, Schifano — mirano a saldare sapienza segnica e motivi della civiltà di massa. L’intermezzo: i contributi civili di Beuys, Brus, Buren, Immendorff, Fishman, Grigoriadis, Jonas, Piper, Trockel, von Bonin; e le iconografie rabbiose di Stella, Haring, Basquiat, Baselitz, Guston, Lassing, Kelley, Wool e Oehlen. L’epilogo è dedicato al rapporto tra pittura e social network, con interventi (ancora) di Warhol, Richter, Polke, Spero, Quaytman, Eggerer e Price. La vera sorpresa: alcune trale più recenti« ipotesi» realizzate da artisti di matrice tardoespressionista, qualiGenzken,Guy ton/ Walker, Owens, Smith, Zobernig, Guyton, Churman, Harrison, Eisenman, Eichwald, Spaulings, Krebber, Koether, Sillmanl, Baer.
I protagonisti di questa sofisticata esposizione condividono, innanzitutto, il bisogno di reagire a un certo fragile duchampismo odierno: alla de materializzazione del post-conceptualism contrappongono una sorta dir i materializzazione dell’arte. Lungi dall’assegnare un’ assoluta centralità alla fase mentale, concepiscono il loro mestiere come una difficile combinazione tra artigianato, controllo tecnico, abilità, immaginazione, originalità, audacia.
Per cogliere il senso delle loro proposte, potremmo ritornare a un artificio caro ai padri del cubismo: nei collage Picasso e Braque avevano incastonato alcuni eterogenei frammenti reali