Corriere della Sera - La Lettura
I miei clic sull’oblio dei «genovesi» di Cuba
Ci sono voluti oltre 15 anni per arrivare a compimento del progetto che, in settembre, presenterò a Parma, in forma di mostra e di libro fotografico. Un percorso lungo e doloroso: perché nasce dopo la scomparsa di un carissimo amico, a cui devo l’intuizione di avermi portato a lavorare su un luogo fuori dal tempo e dalla storia, magnificamente catartico. Era il 1999 quando l’amico in questione — impegnato nella cooperazione internazionale — mi parlò di Mantua: un villaggio perso in una delle aree più povere di Cuba, lontano dalle banalità turistiche, sofferto, autentico, genuino. E così italiano: con quel toponimo preso, vuole la leggenda, da un brigantino affondato da quelle parti nel Seicento, con le tante famiglie che in paese portano il cognome genovese di Pittaluga, con il culto per la Madonna della Neve tramandato di generazione in generazione, in un posto in cui la neve è vista solo in tv. La prematura e drammatica scomparsa di quell’amico, invece di dissuadermi dall’impresa, è stata il comburente per spingermi a costruire un progetto che raccontasse quella comunità. Come? Prima mettendo sulla mia strada Davide Barilli, scrittore che bene conosce la realtà cubana e con cui sono partito alla volta di Mantua, poi portando entrambi fino al Bar del Olvido, letteralmente il «bar della dimenticanza». Ecco la parola magica che avrebbe guidato il lavoro, aiutandomi a costruire un racconto per immagini su questo sentimento. Così restituisco il ricordo di una persona che non c’è più e lavoro sulla storia e sulla leggenda di un luogo ai confini del mondo. Proprio mentre Cuba cambia pelle, affrontando un’idea di futuro che fino a poco tempo fa sembrava inconcepibile.