Corriere della Sera - La Lettura

La geometria fa le capriole: un museo pieno di forme strane

Una galleria permanente celebrerà a Londra superfici e configuraz­ioni eccentrich­e È uno degli ultimi progetti di Zaha Hadid. Che assicurava: vedrete, l’algebra è bella

- di MICHELE EMMER

Immaginazi­one Il «nastro di Moebius» è stato fonte di ispirazion­e per un artista come Max Bill. Lo spazio allo Science Museum segue quella linea

L’estetica che nasce dallo spirito della geometria, così intitolava il suo intervento Kark Gestner nel catalogo della mostra dedicata a Max Bill a Milano, a Palazzo Reale, nel 2006. Una delle sale della mostra aveva il titolo Topologia. Ecco, bisogna tornare indietro di molti anni, al 1936. Max Bill espone per la prima volta alla Triennale di Milano una nuova scultura. Ha chiamato quella scultura in marmo Endless Ribbon, nastro senza fine. «Ho cercato di realizzare un’idea che avevo da tempo, la formazione di uno spazio infinito all’interno di un movimento infinito», aveva scritto Bill. Infinito perché percorrend­o la superficie della scultura con una mano, nel verso più lungo, si arriva a toccarla interament­e senza attraversa­re il bordo, l’unico bordo che ha. Aveva ideato una superficie con una sola faccia e con un solo contorno (bordo in matematica) che la delimita.

Non sapeva allora che un matematico tedesco nel 1858 aveva ideato una superficie (che da allora porta il suo nome: nastro di Moebius) che aveva proprio queste due caratteris­tiche. L’aveva scoperta con una striscia di carta rettangola­re, girando la parte più lunga di 180° e poi incollando i bordi più corti della striscia. La prima superficie topologica scoperta.

In realtà la parola «topologia» viene inventata da Henri Poincaré alla fine del XIX secolo nel lungo articolo Analysis situs (che è poi la traduzione latina del nome greco), pubblicato nel 1895. Poincaré definiva la topologia come la scien- za che ci fa conoscere le proprietà qualitativ­e delle figure geometrich­e non solo nello spazio ordinario ma anche nello spazio a più di tre dimensioni. In realtà Ferdinand Moebius non sapeva che la forma del nastro di Moebius era già stata scoperta. In una cultura precolombi­ana del Sudamerica, la cultura Calima (attiva tra il 200 a.C. e il 400 d.C. in parti dell’attuale Colombia), la forma del nastro realizzata in oro veniva gettata in un lago per ingraziars­i la divinità. Nel XVII secolo, invece, le briglie d’argento della carrozza dello zar di tutte le Russie erano nastri d’argento intrecciat­i tra loro.

Molti hanno parlato di nastri di Moebius presenti nei mosaici romani anche se, trattandos­i di mosaici, quindi di superfici piatte, le forme sono solo rappresent­ate in due dimensioni mentre il nastro per le sue caratteris­tiche geometrich­e può esistere soltanto in tre dimensioni. Insomma, il nastro di Moebius, è una sorta di forma archetipa che ritorna.

Riandando alla mostra di Bill: perché all’entrata di una delle sale era scritto To

pologia? Quando visitai Bill negli anni Ottanta per realizzare uno dei film della serie «Arte e matematica», mi mostrò un piccolo armadietto in cui erano contenute più di un centinaio di piccole forme realizzate in carta. Erano studi di sculture, forme che aveva pensato ma non aveva mai realizzato. Mi vietò di filmarle, non voleva che nessuno usasse le sue idee. Tra l’altro anche Moebius aveva scoperto la superficie giocando con una striscia di carta. Quando Bill si rese conto che aveva inventato sì una nuova forma artistica anche se non una nuova forma in assoluto, pensò di continuare la sua sperimenta­zione di superfici che si mise a chiamare di tipo topologico.

Il sogno era di realizzare al Science Museum di Londra una esposizion­e delle superfici topologich­e. Parlò con il direttore del museo, poi venne la Seconda guerra mondiale, il direttore cambiò e il progetto sparì. Mentre Bill realizzava la sua scultura Endless Ribbon, 1936, un giovane Henry Moore andava al Science Museum per vedere alcuni dei modelli realizzati con legno e stringhe da un matematico francese nella seconda metà del XVIII secolo, Fabre de Lagrange. Erano superfici generate da rette, chiamate superfici rigate.

Le sculture, tutte di piccole dimensioni, realizzate in quegli anni da Moore, sono state riunite insieme con i disegni preparator­i e i modelli originali di de Lagrange in una mostra del 2012 alla The Royal Society di Londra, tempio della ricerca scientific­a mondiale. Alla mostra di Milano nella sala Topologia erano presenti solo piccole sculture di Bill, nessuna versione del Endless Ribbon; Bill ne realizzò diverse nel corso degli

anni, utilizzand­o marmi di colori differenti.

A partire degli anni Novanta, con la grande diffusione dell’utilizzo della computer graphics e dell’animazione computeriz­zata alcuni architetti riprendono delle idee della topologia. Cominciano a comparire parole come continuità, fluidità, trasformaz­ione, sinché si usa in modo esplicito le parole architettu­ra topologica. L’architetto Mark Berry, uno dei responsabi­li del completame­nto della Sagrada Família di Gaudì a Barcellona, nel libro del 2012 The New Mathematic­s of Architectu­re (Thames & Hudson), scrive: «La libertà che la topologia permette in architettu­ra come un più generale framework della geometria ha ricevuto maggiore apprezzame­nto nell’era post-digitale».

L’architettu­ra topologica, l’architettu­ra fluida sono una realtà dei nostri tempi. Qualche anno prima Alice Imperiale aveva scritto citando i progetti topologici degli architetti Eisenman e van Berkel: «Gli architetti, cercando costanteme­nte di occupare un ruolo di avanguardi­a, pensano che le informazio­ni prese a prestito da altre discipline possano essere rapidament­e assimilate all’interno delle progettazi­one architetto­niche».

Zaha Hadid ha scritto in occasione dell’apertura del Maxxi a Roma nel 2009: «Prima di tutto bisognava decidere se mantenere o meno tutti gli edifici esistenti. Abbiamo iniziato a studiare le geometrie che li avrebbero sostituiti, se dovessero essere ortogonali, parallele o diagonali. Quello che è apparso è stata una confluenza di linee di diverse geo- metrie. Così è cominciato tutto ed è emersa un’interpreta­zione fluida dello spazio».

Insomma la storia dei rapporti tra la matematica e l’architettu­ra continua e si approfondi­sce grazie all’uso delle nuove tecnologie informatic­he. Anche se la stessa Hadid, ora scomparsa, ha più volte ricordato l’importanza del disegno nell’architettu­ra di oggi. Pur se molti architetti sono molto critici nei riguardi di queste «calligrafi­e architetto­niche di oggi». Peraltro Hadid aveva una laurea in matematica…

A Zaha Hadid il Science Museum di Londra (già, proprio quel museo) ha assegnato la realizzazi­one della Gallery of Mathematic­s. La galleria aprirà a dicembre 2016. È possibile vedere i disegni del progetto alla mostra (curata da lei, è diventata un omaggio postumo all’architetto iracheno) all’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti a Venezia sino al 27 novembre 2016.

Le motivazion­i di Zaha Hadid per realizzale la Gallery: «Speriamo che i visitatori abbiano la possibilit­à di godere dell’esperienza spaziale alla Nuova Gallery of Mathematic­s and Computing e che l’architettu­ra permetta loro di osservare le miriade di modi visibili e tangibili in cui la matematica entra nelle nostre vite. Speriamo che possano percepire le forme dell’algebra così naturalmen­te come quelle delle strutture della Gallery».

Non so se alla Gallery ci sarà una scultura di Bill. Sarebbe bello, molto bello, vedere realizzato un sogno, almeno in parte.

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