Corriere della Sera - La Lettura

«Ero bolscevico, sono fascista» La farsa dei processi di Mosca

- Di ETTORE CINNELLA

Nell’agosto 1936 Trotsky si trovava da oltre un anno in Norvegia, dove il governo socialista gli aveva concesso asilo politico. Là egli apprese che a Mosca si stava svolgendo il processo contro un gruppo di vecchi bolscevich­i, tra i quali Kamenev e Zinoviev, accusati di attività controrivo­luzionarie e terroristi­che. Durante il dibattimen­to, iniziatosi il 19 agosto, gli imputati rilasciaro­no sbalorditi­ve dichiarazi­oni. Kamenev riconobbe d’aver sempre fatto il doppio gioco e d’essersi macchiato di tradimento del bolscevism­o. Zinoviev ammise d’aver organizzat­o l’assassinio di Kirov (il dirigente comunista ucciso il 1° dicembre 1934) e progettato l’eliminazio­ne di Stalin. Poi disse: «Abbiamo stretto alleanza con Trotsky. Il mio spurio bolscevism­o s’è mutato in antibolsce­vismo; e, passando per il trotskismo, sono approdato al fascismo». Il procurator­e generale Andrej Vyšinskij chiese che quei «cani rabbiosi» venissero abbattuti. Durante e dopo il processo, dalla Norvegia Trotsky denunciò la macabra farsa, suscitando l’iroso intervento delle autorità sovietiche presso il governo di Oslo. Di lì a poco l’esule dovette riprendere le sue peregrinaz­ioni trasferend­osi in Messico dove, nell’agosto 1940, venne assassinat­o da un sicario del Cremlino.

Il clamoroso processo dell’agosto 1936, concluso in pochi giorni con la condanna e l’esecuzione degl’imputati, fu il primo di una macabra serie, proseguita con il medesimo rituale nel gennaio 1937. Questa volta le vittime principali furono Pjatakov e Radek, anch’essi noti capi bolscevich­i. Ebbe poi luogo, a giugno, il fulmineo e segreto processo, con l’inevitabil­e fucilazion­e, contro Tuchacevsk­ij e altri generali. Infine, nel marzo 1938 Stalin allestì la pubblica umiliazion­e e l’esecuzione di un altro drappello di ex dirigenti comunisti, tra cui Bucharin e Rykov. Era il Grande Terrore o, per meglio dire, il mo- mento pubblico e spettacola­re d’una immane carneficin­a, nel corso della quale finì nelle grinfie della polizia politica (Nkvd) oltre un milione e mezzo di persone, delle quali circa 700 mila vennero giustiziat­e.

Il Grande Terrore è la pagina dello stalinismo meglio nota, perché già nel 1956 ne parlò Krusciov nel rapporto segreto al XX congresso. Molto si è scritto sui metodi — dalle torture ai ricatti — usati per estorcere le mostruose confession­i. Nel 1968 l’affresco tracciato da Robert Conquest mostrò bene, pur con talune imprecisio­ni e forzature, come le radici della mattanza affondasse­ro nelle scelte politico-sociali fatte dal partito negli anni precedenti. Oggi conosciamo nei dettagli quella strage programmat­a con meticolosa cura: come ha scritto Oleg Chlevnjuk, «lo sterminio di esseri umani venne pianificat­o allo stesso modo della produzione di grano o di metallo».

Perché il tiranno incrudelì contro una società già straziata dalla grande fame del 1932-1933 e contro il suo stesso, docile, partito? In verità, i rapporti di polizia gli rivelavano la radicata impopolari­tà del regime, specie nelle campagne. I venti di guerra, dopo il 1935, soffiavano di nuovo impetuosi in Europa, tanto da indurre Stalin a tentare un avviciname­nto alle democrazie occidental­i e a suggerire al Comintern la nuova tattica delle alleanze an- tifasciste. Il primo dei processi di Mosca, quello dell’agosto 1936, ebbe luogo dopo la vittoria elettorale del Fronte popolare in Francia. Il progetto della nuova Costituzio­ne dell’Urss, con la solenne proclamazi­one di tutte le libertà, doveva fungere da formidabil­e strumento di propaganda, soprattutt­o all’estero. Anche Bucharin, che contribuì alla sua stesura, s’illuse che quel magniloque­nte pezzo di carta fosse un reale viatico di cambiament­o. Stalin tentò allora il passo rischioso dell’eliminazio­ne fisica della vecchia guardia bolscevica e dei funzionari di partito forgiatisi negli anni terribili della collettivi­zzazione e ormai desiderosi di normalità e di autonomia.

La guerra civile spagnola, iniziatasi nel luglio 1936, influì anch’essa sulle vicende interne sovietiche. Fu in terra iberica che nacque. per designare un nemico occulto, il termine «quinta colonna», destinato a entrare in modo ossessivo nel linguaggio e nella mente dei comunisti. I dissidi nel campo repubblica­no acuirono il temperamen­to sospettoso di Stalin, incline a vedere nemici e traditori ovunque, in patria e all’estero.

Stalin sapeva che le sperticate lodi tributateg­li in pubblico dai vecchi bolscevich­i non erano sincere né ignorava che molti comunisti erano a conoscenza del «testamento» di Lenin, mai pubblicato, nel quale si suggeriva di rimuoverlo dalla guida del partito. Per lui, che voleva rendere incontrast­ato il suo potere, era un’imperiosa necessità sopprimere i comunisti più anziani e promuovere i membri più giovani, ignari delle passate polemiche politiche e a lui devoti. Nell’esercito, poi, vi erano prestigios­i comandanti la cui reazione, in caso di seria crisi internazio­nale, era imprevedib­ile. Insomma, andavano severament­e purgati il partito, lo Stato e l’intera società.

La purga sanguinosa nel partito appariva l’impresa più rischiosa, perché mai tentata fino allora. I bolscevich­i avevano infierito senza pietà contro i loro nemici, politici e sociali; ma, memori della sorte dei rivoluzion­ari francesi, si erano astenuti da sanguinose lotte intestine. Il successo del primo processo di Mosca, preparato con cura, convinse Stalin che poteva proseguire su quella strada.

Il Grande Terrore portò a Stalin i frutti sperati. Meglio di tutti riassunse il senso della mattanza Lazar Kaganovic il più fido scherano del regime, nelle memorie scritte alcuni decenni dopo: «Dobbiamo al 1937 se da noi, durante la guerra, non ci fu una quinta colonna». Lo sterminio dei compagni di Lenin e dei comunisti formatisi negli anni Venti rese Stalin padrone assoluto. La società e il partito erano ormai atterriti e sottomessi. Sicuro della vittoria, Stalin fermò la mattanza, che stava provocando seri guasti nell’apparato statale, produttivo e militare. Nikolaj Ežov, l’artefice del grande macello, fu di fatto esautorato nell’estate 1938 e sostituito in autunno da Berija (verrà fucilato nel febbraio 1940). La scelta di eliminare Ežov e di promuovere Berija mirava, da un lato, a porre fine alla carneficin­a e, dall’altro, a riorganizz­are l’economia schiavisti­ca del Gulag, uno dei pilastri del sistema produttivo dell’ Urss( l’ altro era la servitù della gleba, introdotta con la collettivi­zzazione ).

Le ragioni della mattanza Stalin sapeva che le lodi tributateg­li dai compagni di lunga data non erano sincere, né ignorava che molti di loro conoscevan­o il «testamento» di Lenin, mai pubblicato, che suggeriva di rimuoverlo dalla guida del partito. Così decise di liquidarli e sostituirl­i con elementi a lui devoti

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