Corriere della Sera - La Lettura

Lo spazio (architetto­nico) avvicina E il Sol Levante illuminò anche noi

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L’integrazio­ne, quella vera, avviene nello spazio. Le parole provano a incontrars­i ma è attraverso il tentativo di costruire un mondo comune che gli insiemi possono, se non sovrappors­i, almeno intersecar­si. Talvolta, dunque, l’architettu­ra viene prima della filosofa. Il tentativo di Alida Alabiso nel suo Architettu­ra giapponese e architetti occidental­i (Novalogos, 2014) si innesta nel solco del dialogo tra un certo Oriente e l’Occidente «globalizza­to»: è il ratto di concetti, elevati a valori prima poco noti al nostro mondo, come quelli di semplicità, linearità e utilità. Siamo nel 1893 quando il grande architetto Frank Lloyd Wright, statuniten­se, decide di rivoluzion­are il piano tradiziona­le della casa occidental­e. In occasione dell’esposizion­e di Chicago la Sala della Fenice, il Padiglione del Giappone, diventa una struttura fatta di soli pilastri come base di un ampio tetto sporgente privo di muri portanti: è il minimalism­o nipponico traslato nel nostro mondo. Da allora tutti i grandi nomi dell’architettu­ra, da Le Corbusier a Mies van der Rohe, sperimente­ranno le forme asciutte di un Paese prima sconosciut­o, che invece deciderà di utilizzare la «nostra architettu­ra» come strumento politico di rinnovamen­to (con architetti come Murano, Sakakura o Isozaki). Uno scambio di forme, preludio di uno scambio di sostanze, che Alabiso utilizza per raccontare la nascita di un’architettu­ra basata sia sulle esigenze dell’uomo («Occidente») sia sul suo rapporto con la natura («Oriente»). Con la storia narrata in questo libro comincia il tentativo di un terzo paesaggio: non una somma delle alterità ma una strada comune costruita insieme.

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La copertina del libro di Alida Alabiso edito da Novalogos nel 2014

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