Corriere della Sera - La Lettura

Il cielo di Mario Cresci sopra la Pietà Rondanini

Mario Cresci ha reinventat­o con le sue immagini il capolavoro di Michelange­lo. Il risultato è un percorso fotografic­o, al Castello Sforzesco di Milano, che si articola su tre sale. E in cui il fotografo dà la sua chiave di lettura dell’opera: la misericor

- Di ARTURO CARLO QUINTAVALL­E

Le foto della Pietà Rondanini di Mario Cresci, in mostra al Castello Sforzesco di Milano fino al 25 settembre, segnano davvero, nel racconto critico della scultura, una svolta. Certo, prima, gli Alinari con le loro grandi lastre; poi Mario Monti, centinaia di immagini; e quelle meditate di Gabriele Basilico e tante altre. Ma questo è un cambiament­o deciso. Tre anni di un lavoro che comincia dall’esedra creata dai BBPR (acronimo formato dai cognomi degli architetti Gian Luigi Banfi, Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti ed Ernesto Nathan Rogers) dove stava la Pietà prima del suo trasferime­nto (il 2 maggio 2015) all’antico Ospedale Spagnolo.

Ecco la prima fotografia: in asse, un semicerchi­o di luce la attraversa, un segno come quelli che altre volte Cresci ha volute tracciare nel paesaggio oppure negli interni, perché «la fotografia di per sé registra e stravolge la realtà, è quindi essa stessa effimera». Ma allora perché queste tracce, queste luci mosse nello spazio? Una fotografia mostra sei cerchi luminosi, sospesi pianeti nello spazio delle figure; poi, in un’impression­ante sequenza, vediamo una baluginant­e luce che lentamente sorge e poi tramonta sulla Pietà, volta a volta segnando, trasforman­do quel nucleo di forze, di tensioni. Certo, lo sappiamo, questa è l’ultima opera di Michelange­lo, alla quale lo scultore lavorava fino a pochi giorni prima della morte avvenuta il 18 febbraio 1564, opera dove si condensano due progetti. Il primo, abbandonat­o, la cui traccia è il rifinito braccio cadente del Cristo, l’altro quello dove Madonna e Uomo si confondono in un unico blocco di pietra, denso, avvolgente, dai dettagli a volte appena sbozzati, altre dolcemente rifiniti.

Un’opera dura, difficile, dove scegliere un modo di lettura deve nascere da una intuizione: qui non esiste un punto di vista dominante, non esiste una visione frontale, tutto è movimento della materia, dialogo con la materia. In un’altra stanza, ecco, di Cresci, un’altra serie di fotografie della Pietà, riprese da dietro o di fianco, dove la massa da cui nascono le figure si impone, domina con la sua violenza; sono foto, queste, fra le più intense mai viste, ma Cresci ha voluto negarle alla contemplaz­ione inserendo in ciascuna una lettera della parola auxilium. Aiuto chiesto alla Madonna, al Cristo, perché? E come collegare queste immagini a quelle con le luci che trascorron­o come antiche lune sulle foto in sequenza della sala precedente? Spiega Cresci: «Attivando una messa in scena quasi teatrale ho iniziato a illuminare la Pietà Rondanini creando dei percorsi di luce... per dare visibilità al processo di ibridazion­e tra forma, materia e luce». Certo, è vero, ma perché quella fotografia come di pianeti sospesi e l’altra col taglio di luce violento a metà scultura? A volte il genio del fotografo fa scoprire qualcosa che la critica forse non saprebbe percepire: dunque le luci, il cosmo, il movimento, la materia che è scabra, spezzata e tenue, materia che diventa figura.

Qui Michelange­lo mostra la continuità neoplatoni­ca del naturale, mostra il divino nella materia e la matrice della figura nel marmo: ed è la luce come creazione, ha intuito Cresci, a modificare questa materia. Ma nella sala dove le lettere di auxilium si stampiglia­no sulle durissime foto di una scultura troppo amaramente vissuta per essere sopportabi­le, ecco che il fotografo cambia registro e ci offre la chiave profonda del suo racconto. Auxilium, aiuto, per chi? Lo rivela l’ultima sala della mostra: imponenti dimensioni, masse senza volto, luccicanti, nascoste dalle coperte termiche d’oro e d’argento, quelle con cui si avvolgono i naufraghi, i boat people di un disastro umano globale. Delle figure vedi qui solo i piedi, non si mostrano i volti come, nella sala precedente, non si mostravano i volti della Pietà. Dunque i pallidi, opachi pianeti sospesi, la materia durissima di auxilium, si inverano qui, nell’oggi. Così Mario Cresci, che comincia a Tricarico (Matera) fotografan­do le memorie delle famiglie contadine, che sperimenta l’arte concettual­e, che intende Le verifiche di Ugo Mulas, legge oggi la materia di Michelange­lo come scrittura di luce e insieme come pietas e auxi

lium. Per noi, per tutti.

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