Corriere della Sera - La Lettura
Ruth Bader Ginsburg L’America, Hillary, le armi Chiedete a Shakespeare
Fruga con una certa impazienza dentro la sua borsa di tela nera. «Vediamo se la trovo. Voglio leggerle il Secondo Emendamento…». Punta nel vivo sulla questione delle armi, Ruth Bader Ginsburg sta cercando una copia portatile della Costituzione degli Stati Uniti. Il suo pane. Questa signora minuta, sguardo curioso e appuntito dietro gli occhiali dalla grande montatura, è una delle donne più potenti d’America. Una delle tre che siedono alla Corte Suprema, l’organo delle decisioni ultime e dei giudici a vita, le cui sentenze sui temi più diversi (dall’aborto ai matrimoni gay) stabiliscono i binari su cui si muove la società.
È la veterana del gruppo, nominata nel 1993 dall’allora presidente Bill Clinton. Ottantatré anni, nata a Brooklyn da genitori ebrei russi al culmine della Grande Depressione, papà pellicciaio, mamma che la portava in biblioteca da piccola a leggere i libri, Ruth si è laureata in Legge (il giorno prima della morte della madre) studiando ad Harvard e alla Columbia, nell’epoca in cui Giurisprudenza (non solo) in America era in pratica una materia «vietata» alle donne. «Eravamo nove studentesse su oltre 500 ragazzi nel mio corso, e certi professori ci chiedevano perché pensavamo di poter rubare il lavoro agli stimabilissimi maschi». Nel 1972 è stata la prima insegnante di ruolo alla Law School di Harvard. «Oggi un terzo dei giudici federali è di sesso femminile», dice con asciutto orgoglio. E c’è addirittura una donna, Hillary Clinton, che il prossimo autunno vuole «rubare» ai maschi anche il lavoro di presidente.
È vero che ci siamo accordati per non parlare di politica, ma l’avrebbe mai pensato: una donna che corre per la Casa Bianca? «Quando studiavo all’università una cosa del genere non me la sarei neppure sognata. No, non immaginavo che il mondo potesse cambiare così tanto», dice con un sorriso la giudice Ginsburg. E lei è una delle persone che hanno fatto di tutto per contribuire a cambiarlo. Raramente i membri della Corte Suprema rilasciano interviste. D’estate, in vacanza, lontano dagli scranni, se c’è di mezzo Donald Trump o il teatro, è più facile. «La Lettura» ha incontrato Ruth Ginsburg a Venezia, in un’aula della Wake Forest University, dove è stata ospite per alcuni giorni. Ha tenuto una lezione alle studentesse, ha preparato e mangiato con loro mozzarella i n ca r rozza, ha f a t to due chiacchiere con il poliziotto italiano che le faceva da custode e che è rimasto incantato dalla sua arguzia.
Nella città dei Dogi era venuta con il suo Marty, avvocato fiscalista, in viaggio di nozze, nel lontano 1954. Ogni tanto ritorna. Questa volta l’occasione è un mock trial, un finto processo d’appello organizzato dall’Università Ca’ Foscari per Il mercante di Venezia di scespiriana memoria. Una corte di cinque giudici, presieduta proprio dalla Suprema Ginsburg, ha rivisto la sentenza di condanna ai danni di Shylock, il ricco ebreo che esigeva la riscossione della famosa penale da parte del rivale Antonio (una libbra di carne). L’accordo per l’intervista con «la Lettura» è che si eviti la politica. Ne ha già parlato abbastanza. Ai primi di luglio la giudice Ginsburg ha dovuto fare ammenda per aver risposto con schiettezza alle domande dei media Usa sul candidato Donald Trump: «Non riesco neanche a immaginare cosa accadrebbe se diventasse presidente», è sbottata. «Come avrebbe detto mio marito: tempo di trasferirsi in Nuova Zelanda». Come se la regina d’Inghilterra si fosse schierata pubblicamente pro o contro la Brexit. Anatema. I critici l’hanno accusata — con buone ragioni — di ledere l’indipendenza della Corte. D’altra parte, una delle conseguenze più significative della corsa alla Casa Bianca riguarderà proprio la composizione della Supreme Court. Diversi giudici sono avanti con gli anni (Kennedy quasi 80, Breyer va per i 78) e il conservatore Antonin Scalia scomparso a febbraio dovrà essere subito rimpiazzato: sarà il prossimo presidente a scegliere, incidendo così sull’equilibrio politico che al momento vede quattro giudici nominati dai repubblicani e quattro dai democratici. Con Hillary Clinton alla Casa Bianca, una veterana liberal come Ginsburg potrebbe anche pensare di ritirarsi. Certo «il partito del presidente è un motivo rilevante per decidere quando lasciare». Non è carino parlare di succes- sori con un’ottantenne giudice a vita. Lei ha sempre detto che continuerà fino a quando avrà la forza di andare «a tutto vapore». Ha smesso di fare palestra ma fa esercizi e cammina — anche qui a Venezia — vegliata da un cardiofrequenzimetro. Quando affrontò il tumore, su consiglio della collega Sandra O’Connor, faceva la chemio al venerdì, così da recuperare nel weekend e tornare al lavoro il lunedì. Non ha mai perso un’udienza. È una garanzia vederla duettare oggi con l’attore Murray Abraham, nella cinquecentesca Scuola Grande di San Rocco. Shylock viene in parte riabilitato dalla corte diretta dalla Suprema Ruth: gli vengono restituiti la sua ricchezza e i 3 mila ducati del patto, e la conversione al cristianesimo annullata. La figura di Porzia, che si finge donna di Legge per incastrare il prestavalute, non piace molto ai giudici. L’impostora sarà obbligata a studiare Giurisprudenza a Padova con un master alla Wake Forest.
Si può cominciare da Porzia per arrivare a Hillary Clinton? Magari passando per il Ghetto di Venezia, che Ruth Ginsburg ha esplorato con l’aiuto di Shaul Bassi, il professore di letteratura inglese che quest’estate ha organizzato anche la messa in scena della pièce antisemita (o sull’antisemitismo) per la prima volta all’interno del Ghetto. «Diversamente da altri luoghi dove gli ebrei sono stati segregati, in Russia e altrove — racconta la giudice — la storia di questo ghetto, da cui, come si sa, hanno preso nome tutti gli altri, è molto interessante. Perché qui gli ebrei erano sì