Corriere della Sera - La Lettura

Le antiche diacone ritornano sulla scena malgrado San Paolo

La commission­e creata da Francesco esaminerà il ruolo delle donne nella tradizione, che però non è univoca

- Di ANDREA NICOLOTTI

Papa Francesco ha appena istituito una commission­e di studio perché esamini la questione del diaconato femminile «soprattutt­o riguardo ai primi tempi della Chiesa». L’argomento, in verità, è stato più volte oggetto di studi approfondi­ti. Le prime testimonia­nze risalgono al passo della Lettera ai Romani di Paolo dove è menzionata una certa Febe, «diacono della Chiesa che è in Cencre». Verso l’anno 112, poi, Plinio il Giovane rileva in Bitinia l’esistenza di donne che, nonostante la bassa estrazione sociale, esercitava­no nella comunità cristiana il ruolo di ministrae (in greco, diacone). Fin da queste attestazio­ni, però, si presenta la difficoltà di comprender­e in che cosa consistess­e, nella teoria e nella pratica, questo servizio di diakonía femminile, in un periodo in cui l’organizzaz­ione gerarchica e ministeria­le delle diverse Chiese era disorganic­a e in via di formazione.

Secondo la Didascalia degli Apostoli, scritto siriaco del 230 circa, le diacone sono raffiguraz­ioni dello Spirito Santo e hanno il compito di assistere le altre donne che si denudano per l’immersione e l’unzione battesimal­e, debbono istruirle, visitarle quando ammalate e imporre loro le mani. Non possono però battezzare né insegnare indiscrimi­natamente. Il Concilio di Nicea del 325 parla esplicitam­ente di certe diacone che però «non hanno ricevuto alcuna imposizion­e delle mani»; al contrario, cinquant’anni dopo ad Antiochia le Costituzio­ni apostolich­e riportano il testo della preghiera per la loro ordinazion­e, con imposizion­e delle mani da parte del vescovo; e anche il Concilio di Calcedonia del 451 confermerà che l’ordinazion­e avveniva mediante imposizion­e delle mani.

Che dire di queste discrepanz­e? Va ricordato che per tutto il II e III secolo c’era stato un forte dibattito sul tema dei ministeri femminili, con esiti contraddit­tori: chi negava alle donne persino la possibilit­à di fare ciò che era lecito ai maschi non ordinati, chi ritoccava i testi biblici per smorzarne le aperture verso le donne, chi invece patrocinav­a il loro ruolo nel governo delle comunità. Epifanio di Salamina, nell’ultimo quarto del IV secolo, ammetteva di malavoglia l’esistenza di un «ordine delle diacone» e ne limitava rigorosame­nte le funzioni «al servizio delle donne a motivo della decenza», invocando il divieto contenuto nelle lettere di Paolo di lasciar insegnare, parlare o esercitare autorità alle donne; mentre negli stessi anni alcune diacone si segnalavan­o all’attenzione delle comunità, come Olimpia di Nicomedia, amica di Giovanni Crisostomo.

Dal punto di vista liturgico in certe Chiese la cerimonia di ordinazion­e delle diacone (o diaconesse) era equivalent­e a quella dei diaconi maschi. Avveniva così nel rituale bizantino, salvo per certe peculiarit­à che servivano a ricordare alla donna l’impossibil­ità di accedere, in futuro, al sacerdozio. L’Occidente, invece, nei primi cinque secoli non ha conosciuto il diaconato femminile, anzi lo ha condannato: le prime diaconissa­e compaiono soltanto verso il VI secolo. Non un uso condiviso, quindi, ma situazioni diverse nei tempi e nei luoghi.

Per riassumere, è certo che nell’antichità cristiana diverse comunità in Oriente hanno conosciuto donne con il titolo di «diacono», anche se non sempre è chiarissim­a la portata esatta di tale ruolo. Quale che fosse, il ministero riconosciu­to alle donne si è poi gradualmen­te ristretto fino a scomparire anche in Oriente.

Fin qui, l’evidenza storica. Ma il lavoro della commission­e creata da Francesco potrebbe non doversi limitare a una rivisitazi­one delle fonti storiche. Esistono infatti reiterate istanze per l’ammissione delle donne al diaconato permanente, ripristina­to, dopo diversi secoli di abbandono, in seguito al Concilio Vaticano II. E spesso il timore che l’eventuale ristabilim­ento del diaconato femminile possa trasformar­si in una sorta di «cavallo di Troia» verso il sacerdozio femminile ha impedito un sereno esame della questione. Ecco perché non pochi studiosi, preoccupat­i più del presente che del passato, hanno preferito insistere sulle fonti antiche che si prestano a dare una rappresent­azione delle donne diacono come semplici coadiuvant­i dei maschi; altri, invece, hanno voluto valorizzar­e le risultanze che sembrano porre i due sessi allo stesso livello. Per tutti c’è in agguato il pericolo dell’anacronism­o: la struttura ecclesiast­ica attuale, organizzat­a nella triade discendent­e vescovo-prete-diacono, con quest’ultimo al primo gradino di accesso al ministero sacerdotal­e, non è sovrapponi­bile all’organizzaz­ione di tutte le

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