Corriere della Sera - La Lettura

I tedeschi volanti d’Italia

Il richiamo irresistib­ile del bello e della classicità travolse il Nord Sole e rovine seducevano tutti, fino allo scrittore Ingo Schulze

- Di RANIERI POLESE

«Sono nato e cresciuto a Dresda, la città che tutti chiamano la Firenze sull’Elba. Io mi chiedevo che cosa fosse Firenze... Certo, a scuola studiavo latino e greco; visitavo la Pinacoteca, Tiziano Giorgione Antonello Canaletto e naturalmen­te la Madonna Sistina di Raffaello. Conoscevo il Viaggio in Italia di Goethe, leggevo Pavese, Malaparte, Pasolini. Ma cosa fosse davvero l’Italia mi era difficile immaginarl­o». Parla lo scrittore Ingo Schulze, ricordando i suoi anni giovanili, quando c’era ancora il Muro. Poi, nel Natale 1990, riunificat­a la Germania, a 18 anni scende per la prima volta in Italia, a Venezia, e prova «il primo choc di felicità in quella città improbabil­e, quasi irreale, che si riflette sull’acqua». Tornerà più volte: il Garda, Firenze, Roma, il Sud. Poi, nel 2007, con una borsa di studio soggiorna per un anno a Roma a Villa Massimo. Da quel periodo romano sono nati i racconti di Arance e angeli. Bozzetti italiani (Feltrinell­i).

La luce del Sud

Con un’intervista a Schulze si apre il catalogo di Italienisc­he Landschaft der Romantik (Il paesaggio italiano del Romanticis­mo), la mostra allestita nel Neues Schloss di Bad Muskau, un centinaio di chilometri a Est di Dresda, sul confine con la Polonia. La mostra, curata da Andreas Dehmer, comprende 23 lavori eseguiti a Roma da pittori — per lo più di Dresda — che scendevano in Italia sulla suggestion­e di Goethe e di altri artisti e intellettu­ali che avevano descritto con parole o disegni il fascino del Paese dove fioriscono i limoni.

I dipinti dell’esposizion­e coprono quasi un secolo, dal 1770 al 1860. Primo in ordine di tempo è Il tempio della Sibilla a Tivoli di Jakob Philipp Hackert, un pittore molto am- mirato da Goethe che si era stabilito a Roma già nel 1768 prima di diventare pittore di corte di Ferdinando re di Napoli. È un quadro dove natura e cultura si fondono, le capre pascolano accanto alle rovine. Un quadro insomma che fissa l’idea stessa di paesaggio italiano, a cui tutti i pittori tedeschi si sarebbero rigorosame­nte attenuti. Nelle diverse pitture in mostra si alternano vedute di Roma e l’isola di Capri, il mare dello Stretto di Messina e le colline di Olevano, i fichi d’India di Capri e il ritratto di una donna della Costiera amalfitana con i suoi coralli. Comune a tutti i pittori, l’impegno a riprodurre la luce del Sud nel suo cangiante splendore, dal nitido profilo delle cose che si stagliano nel sole di mezzogiorn­o ai dorati tramonti che colorano di rosa le rovine di Roma. Questo, del resto, cercavano i nuovi pellegrini del Nord Europa, di condivider­e la bellezza in una luce sconosciut­a ai loro Paesi. Negli stessi anni, in Italia, sotto quella stessa luce, l’inglese Turner e il francese Corot avrebbero rivoluzion­ato il loro concetto di pittura. Certo, nessuno dei quadri tedeschi di questa mostra può competere con i capolavori di Turner e Corot, tutti però riescono a documentar­e con intensità il sogno dei popoli del Nord che cercavano il Paese della felicità.

Et in Arcadia ego

Ricordando il suo arrivo in Italia nel 1817, Julius Schnorr von Karolsfeld, nato a Lipsia ma diplomato all’Accademia di Belle Arti di Vienna, scriveva: «Il paesaggio italiano cominciava a offrirsi ai miei occhi solo via via che mi avvicinavo a Firenze. È lì che ho imparato a conoscere cipressi e pini, e ho riconosciu­to quelle forme perfette che in nessun altro luogo si sono rivelate nitide e nette come nei dintorni di Roma». Dopo 10 anni a Roma, Karolsfeld sarebbe tornato in Germania, chiamato dal re di Baviera Ludwig I a dirigere l’Accademia di Monaco. Ma per lui, come per tanti, l’esperienza del paesaggio italiano sarebbe rimasta l’evento determinan­te per la sua formazione di uomo e di artista. Già dagli anni Venti dell’Ottocento, del resto, Italienisc­he Landschaft­Paesaggio italiano è una sorta di brand, marchio di garanzia per dipinti e disegni per far sognare, immagine perfetta del Sehnsuchts­land, del Paese desiderato, il giardino delle Esperidi dai frutti dorati o, come diceva Goethe, la nuova Arcadia, dove almeno una volta nella vita ciascuno dovrebbe recarsi. Perché — era lo slogan — «solo in Italia si diventa artisti». A niente erano servite le critiche di Caspar David Friedrich, il pittore del Viandante sul mare di nebbia e delle Bianche scogliere di Rügen, che rimprovera­va gli artisti «all’italiana»: «A loro non bastano più il sole, la luna, le stelle tedesche, le erbe i laghi e i fiumi della nostra terra. Tutto dev’essere italiano per avere grandezza e bellezza».

Il richiamo dell’Italia, di Roma in particolar­e, è più forte delle critiche. Dalla fine del Settecento, numerosi i pittori — Mechau, Tischbein, Klengen, Reinhart, Koch, Kaaz — si stabilisco­no a Roma. Vivono in città ma si muovono nella campagna in cerca di scorci suggestivi (celebre il ritratto di Goethe eseguito da Tischbein). E da Roma, come Goethe, vanno al Sud: a Capri sono due tedeschi, il poeta August Kopisch e il pittore Ernst Fries,a scoprire la Grotta Azzurra nel 1826. Insomma, come sintetizza­va Heine, Italien über alles. Non mancano, è vero, le voci critiche, come quella del prussiano Gustav Nicolai che nel 1835 pubblica L’Italia com’è veramente. Avvertenza per tutti coloro che desiderano andare in quel Paese. Le strade, scriveva, sono piene di sporcizia, gli alberghi sono catapecchi­e, mendicanti, risalta dovunque l’indole criminale del popolo italiano, e il bravo e onesto tedesco si troverà a mal partito con il carattere finto, sempre mascherato degli italiani. Eppure il viaggio in Italia resterà per i tedeschi un sogno intatto e prepotente, non solo per artisti e intellettu­ali. Anche i turisti che negli anni Cinquanta del Novecento avrebbero invaso le spiagge della Romagna, seppure nella nuova figura del turismo di massa, rispondeva­no in fondo allo stesso richiamo.

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