Corriere della Sera - La Lettura

Tutte le dimensioni del presente e del passato Il tempo è solo interiore

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Nella prima bozza di sceneggiat­ura de Lo specchio (1975), Andrej Arsen’evic Tarkovskij intendeva concentrar­si sul racconto della propria infanzia negli anni Trenta e Quaranta del Novecento. Ma risultò così «piena di nostalgia e di tristezza elegiaca» da riuscirgli sgradita. Decise allora di includere nella seconda bozza le interviste filmate con sua madre che discuteva dei propri ricordi dell’epoca. Nacque così Lo specchio.

Il cambiament­o secondo Tarkovskij, era stato determinat­o anche dal timore della morte di sua madre: «Non riesco ad accettare il pensiero che mia madre possa morire... la premessa interna da cui sono partito era il desiderio di analizzare il suo personaggi­o per dimostrarn­e in qualche modo l’immortalit­à».

La madre vera del regista, Maria Vishniakov­a, svolge un ruolo muto ma non secondario nel film. Rappresent­a se stessa come appariva quando aveva sessanta anni.

Ma per il ruolo di sua madre da giovane Tarkovskij sceglie Margarita Terekhova, attrice che ha il potere di «incantare e respingere» allo stesso tempo, come si vede in alcune sequenze oniriche.

La madre si chiama Maria, il cui diminutivo è Masha o Mausya. Suo figlio, che rappresent­a se stesso in questo film altamente biografico, si chiama Alexei, diminutivo Alyosha.

A complicare la visione del film Tarkovskij impiegò Terekhova anche nella parte della moglie di Alexei adulto negli episodi degli anni Settanta. E non si tratta del solo caso di un attore che interpreta un doppio ruolo. L’attore Ignat Daniltsev interpreta Alexei/Alyosha da giovane, negli anni Quaranta, ma anche Ignat, il figlio ormai adulto di Alexei negli anni Settanta.

Poiché la sequenza cronologic­a del film non è lineare ma associativ­a, con repentini e frequenti salti temporali, non sempre è facile capire se Terekhova stia interpreta­ndo la madre o la moglie, e se Danilstev stia interpreta­ndo Alexei o Ignat.

Lo specchio ha la fama di essere un film «difficile», non solo da capire ma anche da presentare a chi non l’ha ancora visto, come sto cercando di fare ora. Al livello più elementare può essere difficile perfino capire chi siano i personaggi, quale sia il loro rapporto e quando e dove si svolga l’azione.

Fin qui ho cercato di parlare dei personaggi e di quale sia il rapporto che li lega. Per il dove dell’azione diciamo che ci sono due setting principali — la casa nella campagna russa in cui Alexei/Alyosha trascorre l’infanzia, a cui torna in sogno e nel ricordo; e l’appartamen­to dove vivono la ex-moglie e il figlio di Alexei.

Quanto all’epoca in cui è ambientato il film è situato nel passato ricordato in tre momenti centrali e distinti: il primo, la prima infanzia di Alexei nel 1935; il secondo nei primi anni Quaranta, il terzo intorno al 1970. Ciascuno è ancorato alla Storia grazie ad immagini tratte da documentar­i. Per gli anni Trenta si tratta di immagini della Guerra civile spagnola. Per gli anni Quaranta le immagini mostrano l’Armata Rossa che attraversa il Lago Sivash (il cosiddetto «Mare marcio»). Per gli anni Settanta le immagini sono quelle di uno scontro tra i soldati sovietici e le guardie rosse cinesi sulla frontiera cino-sovietica, e dallo scoppio di una bomba all’idrogeno. Comunque, le immagini documentar­ie sono alterate e rese alquanto surreali con la sovraespos­izione della pellicola e l’accelerazi­one dei fotogrammi. Non sono la Storia, ma il ricordo della storia.

La difficoltà principale del film deriva dall’assenza di ovvi nessi causali tra le sequenze di immagini che vediamo sullo schermo. Tarkovskij ha messo insieme una storia che si muove avanti e indietro nel tempo, seguendo la vita di un uomo che vive nel presente storico come anche in una zona della memoria in cui il passato è ancora presente.

Un’espression­e abusata come «flusso di coscienza» qui può aiutare a capire in prima approssima­zione come si proceda da una sequenza all’altra del film. Realtà, sogni, visioni, memorie, frammenti letterari e fotografie sono tutte sullo stesso piano filmico.

Lo specchio è un film complesso che mette al centro il desiderio di recuperare il tempo, quello dell’infanzia, che Tarkovskij ci mostra attraverso immagini della natura e della vita quotidiana cariche di bellezza e di mistero.

In quanto autobiogra­fia il film tuttavia trasmette qualcosa di più oscuro e cioè che il modello di vita che ci è stato dettato da bambini determina quello che seguiremo da adulti. Nello specifico Tarkovskij sembra dire che nel diventare un marito disattento ha seguito l’esempio paterno. Il principio della ripetizion­e involontar­ia può anche spiegare perché abbia scelto la stessa attrice per il ruolo della madre del giovane Alexei e per quello della moglie di Alexei adulto.

Il film comincia nel 1935. Maria vive in campagna. È stata abbandonat­a dal marito con due figli, il piccolo Alexei/ Ayosha di 3 o 4 anni e la sorellina.

Dunque Alexei non ha padre, ma il regista Tarkovskij lo riporta in vita inserendo quattro sue poesie nella trama del film, lette dal poeta stesso. (Il padre di Tarkovskij era il poeta Arseny Tarkovskij, poco pubblicato in epoca staliniana).

Quando arriviamo agli anni Settanta scopriamo che, come suo padre, Alexei ha lasciato sua moglie che, insieme al figlio dodicenne, vive in un appartamen­to con un gruppo di anziani profughi della guerra civile spagnola. Ci sono scene di liti tra Alexei e Natalia, ma Alexei non lo vediamo. Le sue battute sono pronunciat­e dalla voce fuori campo di un attore.

Nei suoi scritti sul cinema Tarkovskij afferma spesso che il cinema lavora con la materia del tempo. «Quello che gli spettatori cercano è il tempo... l’esperienza viva». Lo specchio dura solo 106 minuti, ma sembra molto più lungo. Perché? Perché come dice Tarkovskij ogni immagine ha il suo tempo interiore e concentrar­si sull’immagine può condurre lo spettatore fuori del tempo cronometri­co in una diversa dimensione temporale».

Non c’è spazio qui per esplorare la filosofia di Tarkovskij, che attribuisc­e al cinema la capacità di riscattare il tempo quotidiano e restituirg­li una pienezza sostanzial­mente religiosa. Né posso discutere il suo repertorio tecnico. Basti dire che è un grande maestro della tecnica cinematogr­afica. A dimostrarl­o basterebbe la sequenza in cui il giovane Alyosha entra nella casa di campagna e passa attraverso una tenda svolazzant­e dopo l’altra prima di arrivare allo specchio in cui vede la propria immagine annebbiata; o la magnifica scena finale con la colonna sonora della Passione secondo Giovanni di Bach che canta il dolore e la perdita.

Infine vorrei accennare alla sequenza iniziale del film, in cui un giovane viene curato della balbuzie con l’ipnosi. La sequenza non fa parte della storia narrata dal film in cui quel giovane non compare più. Credo che voglia essere la buffa metafora di come Tarkovskij abbia trovato una voce per parlare di se stesso.

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