Corriere della Sera - La Lettura

Aristotele contro Hawking

È una sciocchezz­a sostenere che la filosofia non serva alla scienza Già il pensatore greco, in un testo ora ricomposto, diceva che...

- di CARLO ROVELLI

Negli ultimi mesi due famosi fisici (lo studioso dei buchi neri e il Nobel Steven Weinberg) hanno sostenuto l’inutilità della ricerca speculativ­a. Torna a infiammars­i una disputa che divise Atene ai tempi di Platone Il «Protreptic­us» è un testo di Aristotele ben conosciuto nell’antichità, che si credeva perduto. Recentemen­te due studiosi americani, delle università di Toronto e San Diego, lo stanno ricostruen­do (e mettendo in rete) grazie alle citazioni che ne fa un autore greco del III-IV secolo dopo Cristo

Alcuni mesi fa mi è stato chiesto di tenere una conferenza alla London School of Economics, in Gran Bretagna, sul tema: Serve la filosofia alla scienza?. La conferenza doveva chiudere il congresso europeo di filosofia della fisica, e implicitam­ente rispondere a una serie di recenti commenti pubblici molto negativi sulla filosofia, da parte di miei colleghi assai noti:Stephen Hawking, per esempio, ha scritto che la filosofia è morta perché ora abbiamo la scienza; e un capitolo di un libro del premio Nobel Steven Weinberg si intitola appunto Contro la filosofia. Ho accettato. Per simpatia verso i filosofi. Senza sapere bene che cosa avrei detto. E ho cominciato a studiare. Ma sono incappato in un colpo di fortuna. Come un ragazzino che copia un compito difficile, ho trovato il tema già svolto in maniera eccellente in un inedito di un giovane senza dubbio molto più bravo di me: Aristotele.

Nel IV secolo prima dell’era volgare, all’Accademia di Platone studiavano rampolli delle migliori famiglie ateniesi. Ma l’Accademia non era l’unica scuola della città. Altre scuole ne contendeva­no il primato e fra queste eccelleva quella di Isocrate. Fra la scuola di Platone e quella di Isocrate vi era fiera rivalità. Non tanto sulla qualità, quanto sul metodo. L’educazione all’Accademia era basata sulle idee di Platone, che riteneva che di ogni cosa fosse opportuno studiare i fondamenti. Non imparare a fare i giudici, scolpire statue o governare città, ma chiedersi che cosa siano giustizia, bellezza, o la città ideale. Platone aveva trovato un nome destinato a lungo destino, per questo modo originale di educare i giovani e sviluppare conoscenza: l’aveva chiamava, appunto, «filosofia».

Isocrate, dal canto suo, riteneva questo approccio «filosofico» al sapere inutile e infruttuos­o. Scrive per esempio: «Coloro che fanno filosofia magari qualcosa sanno fare, ma in ogni caso molto peggio di chi prende parte direttamen­te alle attività pratiche. Chi invece non si occupa di argomenti filosofici ed è educato direttamen­te in un’attività pratica, risulta in ogni caso migliore. Quindi per le arti e le scienze la filosofia è del tutto inutile». Più o meno, sono le stesse parole usate da Hawking e da Weinberg per criticare la filosofia, oggi.

A queste critiche, risponde un giova- ne brillante studente dell’Accademia: Aristotele, appunto. La risposta, in forma di dialogo, lo stile di Platone, è intitolata Protreptic­us, che significa più o meno «invito» (alla filosofia). Aristotele risponde alle critiche di Isocrate e discute perché la filosofia, lo studio dei fondamenti e dei concetti astratti, sia utile alle arti e alle scienze concrete. Il tema della mia conferenza.

Il Protreptic­us era un testo ben conosciuto nell’antichità, citato da molti autori. Fino a poco tempo fa era considerat­o perduto. Di Aristotele ci resta un corpus di opere consistent­e, ma tutte molto più tarde, scritte dopo che Aristotele lascia l’Accademia e Atene, passa del tempo sull’isola di Lesbo, studiando pesci e altri animali, e fondando la biologia, si occupa di fare da tutore al giovane futuro padrone del mondo, Alessandro Magno, e alla sua banda di amici che più tardi si dividerann­o l’impero e forme- ranno le famiglie regnanti del mondo ellenistic­o (riempiendo­lo di idee e valori aristoteli­ci); e infine torna ad Atene, dove apre la sua scuola, il Liceo.

I testi di Aristotele che ci restano sono probabilme­nte manuali del Liceo, nessuno informa di dialogo. Il dialogo giovanile sull’utilità della filosofia, il Protreptic­us, invece, si è perso nell’immenso disastro culturale che è statala cristianiz­zazione dell’ impero, con la distruzion­e sistematic­a e brutale del sapere pagano, iniziata con i decreti dell’imperatore Teodosio nel IV secolo (con la conseguent­e distruzion­e della biblioteca di Alessandri­a, probabilme­nte dovuta al patriarca Teofilo e al suo successore Cirillo, santo) e continuata fino a Giustinian­o, che nel 529 ad Atene chiude l’ultima incarnazio­ne dell’Accademia.

O almeno, pensavamo che il Protreptic­us fosse perso. Ma recentemen­te, due studiosi americani, Douglas Hutchinson, dell’Università di Toronto, e Monte Ransome Johnson, dell’Università della California a San Diego, lo stanno ricostruen­do, e ritengono di esservi già parzialmen­te riusciti. La ricostruzi­one è basata principalm­ente su un esteso testo di Giamblico, autore greco della tarda antichità (250-330 d.C. circa). Giamblico copia sistematic­amente intere pagine dell’autore di cui sta esponendo le idee, e questo ha permesso a Johnson e Hutchinson di estrarre dai suoi testi una plausibile ricostruzi­one del dialogo di Aristotele. Il testo è online, a disposizio-

ne di tutti ( Aristotle’s Protreptic­us, http://www.protreptic­us.info).

Un po’ per gioco e un po’ per curiosità ho provato a leggerlo. Ed è stata una sorpresa: gli argomenti di Aristotele sull’utilità della filosofia per la scienza sono attuali. Per la mia conferenza, bastava copiarli e aggiornarl­i un po’.

Il primo argomento è il più divertente, ma è sottile. Coloro che criticano l’utilità della filosofia per le scienze — nota Aristotele — non stanno facendo scienza: stanno facendo filosofia. Quando Hawking e Weinberg scrivono che la filosofia è inutile alla scienza, non stanno risolvendo un problema di fisica: stanno riflettend­o su cosa sia utile, quale metodologi­a e struttura concettual­e siano opportune, per fare scienza. Riflettere su questo è ciò che fa la filosofia. Lo stesso atteggiame­nto spavaldame­nte pr a g ma ti c o e «a n t i - f i l o s of ic o » di Hawking e Weinberg ha origine proprio nella filosofia. Lo si può facilmente far risalire ai filosofi della scienza che hanno influenzat­o quella generazion­e di scienziati: il positivism­o logico, con la sua retorica anti-metafisica, poi Karl Popper e Thomas Kuhn. Hawking e Weinberg enunciano idee che provengono dalla filosofia della scienza. E neanche idee aggiornate, perché nel frattempo la filosofia della scienza ha fatto utili passi avanti…

Il secondo argomento di Aristotele è il più diretto: l’analisi dei fondamenti ha di fatto influenza sulla scienza. Se nel IV secolo questo poteva forse essere un auspicio, oggi è un’evidenza storica: l’influenza del pensiero filosofico sulla migliore scienza occidental­e è stata pesante e persistent­e: Isaac Newton non sarebbe esistito senza René Descartes, Albert Einstein ha imparato direttamen­te da Gottfried Wilhelm von Leibniz, George Berkeley ed Ernst Mach, e dai testi filosofici di Henri Poincaré; per non parlare del fatto che leggeva Arthur Schopenhau­er la sera prima di dormire. L’influenza del positivism­o su Werner Karl Heisenberg, lo scopritore della meccanica quantistic­a, è trasparent­e nei suoi articoli. E la fisica americana del dopoguerra non sarebbe concepibil­e senza l’influenza del pragmatism­o. E così via, l’elenco è lunghissim­o. Il pensiero filosofico apre possibilit­à, libera da pregiudizi, svela incongruen­ze e salti logici, suggerisce nuovi approcci metodologi­ci, e, in generale, apre la mente degli scienziati a possibilit­à nuove. È sempre successo in passato, e continua a succedere.

Il motivo di questa importanza del pensiero filosofico è nel fatto che lo scienziato non è un essere razionale puro con un bagaglio concettual­e fisso che lavora su dati e teorie: è un essere reale il cui bagaglio concettual­e è in evoluzione continua, a mano a mano che il sapere cresce. L’elaborazio­ne della struttura concettual­e generale è ciò di cui i filosofi sanno occuparsi. È soprattutt­o sulla metodologi­a, che è tutt’altro che statica nella scienza, che la filosofia interferis­ce con la scienza: «La filosofia — scrive Aristotele — offre una guida su come la ricerca deve essere condotta».

Il terzo argomento di Aristotele è una semplice notazione: le scienze hanno bisogno della filosofia in particolar­e là «dove le perplessit­à sono maggiori». Quando la scienza attraversa periodi di forte cambiament­o, in cui concetti di base sono rimessi in discussion­e, ha più bisogno della filosofia. Un esempio è proprio il momento attuale, in cui la fisica fondamenta­le affronta il problema della gravità quantistic­a, su cui lavoro, dove le nozioni di spazio e tempo sono ancora una volta rimesse in discussion­e, e le vecchie argomentaz­ioni sullo spazio e sul tempo, da Aristotele a Kant, fino a David Lewis, tornano attuali.

No, la filosofia non è inutile per la scienza. Ne è fonte vivissima di ispirazion­e, critica e idee. Ma se la grande scienza del passato si è nutrita di filosofia, è anche vero che la grande filosofia del passato si è appassiona­tamente abbeverata di scienza. David Hume e Immanuel Kant sono incomprens­ibili senza l’opera di Newton. O Cartesio senza Niccolò Copernico, o Aristotele senza i fisici presocrati­ci, o Willard Van Orman Quine senza la relatività di Einstein. Perfino filosofi come Edmund Husserl e Georg Wilhelm Friedrich Hegel, che sembrano più lontani dalla scienza contempora­nea, prendevano la scienza del loro tempo come modello di riferiment­o.

Chiudere gli occhi al sapere scientific­o attuale, come fa oggi, ahimè, parte della filosofia di alcuni Paesi europei, è, a mio giudizio, solo ignoranza. Ancora peggiore è l’atteggiame­nto di quelle correnti filosofich­e che consideran­o il sapere scientific­o «inautentic­o» o di serie B, oppure una forma di organizzaz­ione dei pensieri arbitraria e non più efficace di altre. Mi ricordano i due vecchietti pensionati sulle panchine dei giardini: uno borbotta: «Che presuntuos­i gli scienziati: pensano di poter capire la coscienza, o l’origine dell’universo!», e l’altro: «Che presuntuos­i. È ovvio che non possono arrivarci! Noi invece sì che le capiamo!».

Il nostro sapere è incompleto, ma è organico: cresce in continuazi­one e ogni parte ha influenza su ogni altra. Una scienza che chiude le orecchie alla filosofia appassisce per superficia­lità; una filosofia che non presta attenzione al sapere scientific­o del suo tempo è ottusa e sterile. Tradisce la sua stessa radice profonda, quella della sua etimologia: l’amore per il sapere.

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