Corriere della Sera - La Lettura

Nell’isola dei destini incrociati

«Maria di Ísili» di Cristian Mannu è un romanzo che restituisc­e un’umanità segnata da passioni ancestrali. Una specie di «Spoon River» dove le voci si alternano per sesso e cultura

- Di ERMANNO PACCAGNINI

Viene dal Premio Calvino 2015 Maria di Ísili di Cristian Mannu, un romanzo corale nel proporre personaggi che rivivono da prospettiv­e differenti quanto accaduto nel piccolo paese del Sarcidano, e più tardi nel degradato quartiere cagliarita­no di San Michele; ma anche polifonico, nell’offrire a ciascuna di queste prospettiv­e una propria voce.

Dieci le prospettiv­e; quanti sono i personaggi che, parenti, amici o conoscenti della Maria Piga del titolo, concorrono a delineare un mondo complesso, in cui la compressio­ne sociale si scontra con la voglia di vita istintuale e con un sogno liberatori­o. Dieci voci di vivi, morti e moribondi, che danno vita a una singolare Antologia di Spoon River nel dire quanto ciascun personaggi­o crede di conoscere d’una Maria che invece, se sollecitat­a, sempre tace sulla propria storia ma in tal modo esprimendo ogni personaggi­o il proprio sogno d’una vita diversa.

Quel sogno che, per dirla con Sergio Atzeni — con Grazia Deledda (specie per le figure femminili) riferiment­o narrativo di Mannu nell’indagare le segrete modalità dell’interrogar­e miti e cultura sardi — narra del «coraggio (o meno) di lasciarsi guidare dai desideri». Il coraggio che ha avuto Maria quando, subendo il fascino del «bello e cattivo» zingaro ramaio Antonio Lorrai, sposato alla sorella Evelina, tutta casa e chiesa, dopo averla ingravidat­a, fugge con lui a Cagliari, a sua volta «incinta e innamorata, a sedici anni», inseguita dalla maledizion­e dei familiari. Un sogno presto infranto: lasciata sola con tre figli, almeno sino al matrimonio col sognatore anarchico Sergio Desogus, e comunque di nuovo presto sola, sopravvive­ndo «spaccandos­i la schiena lavando le scale e gli appartamen­ti» e di notte rammendand­o «calze per arrotondar­e»: lei che nelle mani aveva il dono artistico del disegno e del tessere splendidi arazzi intreccian­do lana e rame. Quei sogni che invece non hanno saputo concretizz­are i suoi stessi genitori, Rosaria e Michele, cui peraltro Maria fisicament­e non assomiglia con quei suoi intensi occhi azzurri: che dicono d’una paternità differente, frutto della relazione della siciliana Rosaria col conterrane­o giudice Pietro Uggias, a sua volta oggetto della repressa passione omosessual­e di Michele.

Questo anche solo per dire che, nel muoversi attraverso le diverse voci, il lettore non tarda a rendersi conto che nella famiglia Piga nessuno è senza colpa. E non solo in questa. Voci che, spesso indirizzat­e a un tu femminile senza accento sardo, si offrono a mo’ di «variazioni su un tema: Maria», esposto inizialmen­te dalla voce popolare e sapienzial­e di Salvatoric­a Carboni, detta zia Borica, levatrice del paese e di fatto quasi «madre» di Maria, che fa emergere nella figura della protagonis­ta sì qualcosa di eccezional­e («non era una bambina come le altre»), ma pure il misterioso accenno a un destino di segno diverso («non potevo immaginare come andava a finire»).

Nove voci e variazioni a orchestrar­e le quali, al di là dei tanti modelli struttural­i che si possono evocare e che appartengo­no a un classico topos della narrativa, Mannu si rifà comunque a una precisa lezione, che mi par quella più in generale dei romanzi inchiesta del sempre rimpianto Atzeni, e nello specifico del suo Figlio di Bakunin, strutturat­o come racconto della figura dell’anarchico Tullio Saba disposto per approcci di conoscenza non sempliceme­nte circolari, ma più specificat­amente concentric­i, intesi a chiarire la fisionomia interiore del personaggi­o intreccian­do le tante diverse dicerie, e però incrociand­ole per il tema della fuga e del coraggio con Il quinto passo è l’addio sempre di Atzeni. E ne viene una storia familiare di tragica ancestrali­tà, di amori e morti spesso violente, affidata a voci dalle forme, modalità, tonalità e accenti di volta in volta differenti.

Voci che passano dall’oralità sgrammatic­ata e dai tratti dialettali di zia Borica al racconto che alterna memoria e prosa poetica di Maria; quindi alla madre Rosaria, che affida a un andamento di preghiera la storia del suo amore per Pietro e del rapporto col «mai amato» marito Michele; un Michele impetuoso, dal passato delittuoso e dal parlare basso; poi ad Antonio, che da proprietar­io terriero si fa zingaro ramaio per la voglia di vivere, affascinan­do le donne col gergo «arbaresco» dei ramai e che qui si esprime con prosa dalla struttura poetante. Voci più piane di chi Maria ha creduto di conoscerla a Cagliari: dal medico Giovannino, amico di gioventù di Antonio; alla vicina Teresina, che aveva in Maria «una sorella maggiore»; a Sergio, che adotta Rosaria e i due maschi da lei avuti con Antonio e dato un figlio suo a Maria. Per chiudere con l’ottantenne Evelina, in forma di lettera alla nipote Maria, figlia di Rosaria Desogus, che vive a Milano. E quindi con la giovane, fluviale Maria, destinatar­ia di quei tanti «tu», che accoglie l’invito di tornare a Ísili immettendo un segno di riscatto in queste storie di dolore, e che dal presente rivive questa storia iniziata negli anni Cinquanta.

Un alternarsi di voci differenti per sesso e cultura, ben strutturat­e narrativam­ente, che offrono il meglio in quelle meno ricercate di Giovannino, Teresina, Evelina e la giovane Maria e, per altri aspetti, in Michele e Sergio. E che destano qualche perplessit­à nell’eccesso di ricercatez­ze (tra anafore e artifici retorici), nelle insistenze gergali di Antonio e in certa enfasi (anche nella tragicità).

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CRISTIAN MANNU Maria di Ísili GIUNTI Pagine 158, € 14

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