Corriere della Sera - La Lettura

I volti e le tende Sbuca dal buio la tragedia dei migranti

Viaggio con i disperati del mare Una riflession­e per immagini

- di GIANLUIGI COLIN

Come dimenticar­e gli sguardi delle donne e degli uomini appena approdati a Lampedusa che hanno visto i loro compagni di viaggio morire in mare? Come dimenticar­e la foto del piccolo Aylan morto a tre anni e deposto sulla battigia di una spiaggia turca? E come non ricordare i volti felici e sorpresi di alcuni rifugiati appena superata la frontiera tedesca, accolti dagli applausi?

Immagini lontane una dall’altra, eppure ognuna di queste rappresent­a il tassello di un enorme affresco che racconta la complessit­à della tragedia che sta sconvolgen­do la nostra epoca. «Siamo sempre lo straniero di qualcun altro. Imparare a vivere insieme è lottare contro il razzismo», ricorda lo scrittore Tahar Ben Jelloun. Ma che cosa significa davvero «vivere insieme» e che cosa nasconde ogni singola esistenza di tanta umanità in cammino? E come la fotografia può raccontare questi universi così lontani e che oggi premono uno sull’altro talvolta abbraccian­dosi e molto più spesso respingend­osi?

C’è la fotografia di cronaca, il fotoreport­age in prima linea che attraverso un singolo scatto urla il dolore, descrive la sofferenza, scuote le coscienze. Ma c’è anche una fotografia fatta di silenzi, di meditazion­e, di sguardi sospesi nel tempo. Rac- conti visivi costruiti più su dettagli apparentem­ente marginali che sulla notizia da prima pagina. È quello che, con grande intelligen­za e sensibilit­à etica, ha costruito Federico Maggia, direttore della Fondazione Fotografia di Modena, dando vita a una missione fotografic­a e inviando sette fotografi italiani nelle isole greche e nella zona al confine tra Grecia e Macedonia. Si tratta di Francesco Radino, Antonio Fortugno, Antonio Biasiucci, Filippo Luini, Francesco Mammarella, Simone Mizzotti e Angelo Iannone: in queste due pagine, in anteprima, pubblichia­mo una parziale sintesi dei loro lavori.

La fotografia, con questa «missione», si afferma come una delle possibilit­à più alte per costruire un racconto visivo del nostro tempo tormentato. Negli anni Trenta, negli Usa la Farm Security Administra­tion invitò alcuni fotografi a realizzare una serie di immagini sulle condizioni del Paese. Il risultato di quel lavoro è oggi nella storia della fotografia. Dorothea Lange fu una di quei fotografi e ancora ci parla Migrant

mother, lo scatto di una madre che guarda, attonita, mentre due bimbi si aggrappano a lei. Oggi, come allora, la fotografia racconta anche la speranza, la stessa speranza che ritroviamo nelle foto di molti autori di questa nuova, importante «missione».

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