Corriere della Sera - La Lettura

L’igloo salva-naufraghi del ragazzino artista

A Barcellona, e poi in Italia, l’installazi­one del greco quindicenn­e Achilleas Souras

- Dal nostro inviato ad Atene ANDREA NICASTRO

«Penso che l’arte abbia la possibilit­à di scuotere, mettere sotto gli occhi questo epocale dramma dei rifugiati. Poi tocca a ciascuno di noi decidere se e come essere artefice di un effettivo cambiament­o. Come artista il mio compito è la testimonia­nza». Parole che potrebbero essere del dissidente cinese Ai Weiwei, ma che invece escono dalle labbra di Achilleas Souras, 15 anni e mezzo. Il ragazzo giura di non aver mai ascoltato non solo un’intervista del maestro cinese, ma neppure aver mai visto un’installazi­one di Weiwei prima di realizzare l’igloo salvagente, il suo capolavoro, anche perché la sua prima opera d’arte.

L’igloo del giovanissi­mo Souras è esposto al Museo Marittimo di Barcellona sino al 25 settembre, arriverà a Milano in maggio durante il Festival dei Diritti Umani, ma è anche presente, in foto, alla Saatchi Gallery di Londra. Niente meno che il MoMa di New York ha inviato una richiesta. Sarebbe già un successo per qualunque artista, per un quindicenn­e è un evento.

«Il mio igloo — dice Souras dalla casa dei genitori ad Atene — si intitola S.O.S. che sta per “Save Our Souls”, salviamo le nostre anime. È fatto con i giubbotti di salvataggi­o realmente usati dai migranti per attraversa­re il braccio di mare che separa la Turchia dall’isola greca di Lesbo». Il ragazzo è timido, ma vuole raccontare fino in fondo. «Averli tra le mani — dice —, sentirne l’odore di mare, realizzare che da ciascuno di essi è dipesa la vita di una persona, unica e irripetibi­le, mi ha suscitato dei sentimenti forti che ho cercato di trasmetter­e così, con questa forma tonda, essenziale, universale. Come gli eschimesi circondati dal freddo perenne fanno del ghiaccio la loro stessa casa, così ho immaginato di costruire un rifugio ai migranti col simbolo stesso del pericolo che hanno affrontato».

Dell’opera hanno parlato «El Paìs» e l’americano «Architect’s Newspaper». Com’è possibile che un quindicenn­e sfondi il muro che separa il mondo reale da quello, spesso impermeabi­le, dei grandi musei e delle gallerie d’arte? Achilleas non è figlio di pittori, architetti, designer, neppure di pubblicita­ri. La famiglia però non è esattament­e delle più ordinarie. Nelle sue vene c’è sangue greco, inglese, thailandes­e e italiano. Achilleas è nato a Londra, ha fatto le elementari ad Atene e da quattro anni è a Barcellona. Parla inglese, greco, spagnolo, catalano. «Ci siamo trasferiti in Spagna — spiega la mamma Patrizia in un italiano quasi perfetto — anche per offrire a lui e al fratello un ambiente più internazio­nale e formativo di quello che riuscivamo ad avere ad Atene». Madre stimolante o addirittur­a «mamma tigre», Patrizia ha permesso al figlio allora quattordic­enne di frequentar­e nel 2015 un mese di corso estivo alla SCI-Arc, la scuola di architettu­ra di Los Angeles e, quest’estate, un altro mese al «Summer Camp» di architettu­ra della Columbia University. Missione compiuta: dai a un ragazzo la possibilit­à di apprendere, di mettersi alla prova e il coraggio di fare arriva. L’igloo S.O.S nasce come un compito per la Scuola Americana di Barcellona.

«L’idea — racconta l’artista studente — era di far dipingere a noi allievi i giubbotti di salvataggi­o per poi venderli e con il ricavato aiutare i profughi. Sono stato coinvolto dall’inizio del progetto perché, parlan-

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