Corriere della Sera - La Lettura
La fatica di crescere: torna Kim Rossi Stuart
A Venezia e poi nelle sale il secondo film del regista e attore
«Senza dubbio in questa ricerca i ntrospettiva c ’è una dose di reale autobiografismo, pur restando un’opera di finzione. Questo perché penso che guardarsi dentro sia un viaggio che la specie umana non può evitare», scrive Kim Rossi Stuart in merito al suo secondo film Tommaso (scritto insieme a Federico Starnone, evento speciale a Venezia, nelle sale dall’8 settembre), dove il protagonista è ancora Tommaso, quello del primo film Anche li
bero va bene, lì bambino, qui adulto. Lì interpretato da Alessandro Morace, qui direttamente da Kim Rossi Stuart. È dunque l ui ? Tutt i oss es s i va mente a c hi e ders i quanto ci sia di autobiografico nei film del regista/attore: è lui questo essere umano così incerto, a volte sgradevole, impaurito, pieno di difetti, comprensivo, nevrotico, iracondo, pronto al perdono?
A trarre ancora più in inganno in questo secondo e attesissimo film è la maggiore corrispondenza esteriore tra regista/attore e personaggio. Tommaso è un attore di successo. «Sono un uomo di successo. Lo dico perché professionalmente ho raggiunto fama e solidità grazie o a discapito, dipende dal punto di vista, di una vita sentimentale fallimentare». È l’incipit del racconto inedito di Kim Rossi Stuart L’altra
metà da cui è tratto il film. Scritto nel 2007, questo racconto è il secondo capitolo di un’opera unitaria lunga tredici anni. Da tredici anni Kim Rossi Stuart non abbandona Tommaso. Di per sé già questo è insolito. Fuori dalle regole di mercato: dopo il grande successo di Anche libero va
bene (David di Donatello 2007, miglior regista esordiente) Kim Rossi Stuart fa passare dieci anni. Tutti lo vogliono, ma lui prende tempo. Nessuno capisce. Scelta inspiegabile se non si considera l’opera per intero e dunque il tempo come parte dell’opera. L’autore vuole rimanere su Tommaso, ha bisogno di farlo crescere. E per crescere qualcuno serve tempo e pazienza. Indulgenza e comprensione.
Qui c’è un’opera fuori dall’opera che colpisce e commuove. Un’opera fatta di tante tappe, alcune inedite, come il racconto da cui è tratto il film.
Ecco allora Tommaso adulto alle prese con le donne: Chiara, Federica, Sonia, quelle del presente più quelle del passato, quasi a creare un’identità maschile precisa dall’adolescenza in poi, a cercare una spiegazione. Perché sono così? Perché fuggo le relazioni stabili? Domande che il protagonista pone all’analista. A cui racconta sogni di «vagine deformi e schianti dopo voli nel cielo», desideri, e insofferenze: brufoli, peluria trasparente sulle mascelle, «ridicoli capelli incespugliati sulla zona parietale del cranio» (i sentimenti devono resistere alla bruttezza, al dettaglio). Tutte donne guardate da vicinissimo. Donne desiderate e poi allontanate, «appena vedo esseri umani di sesso femminile mi allontano a gambe levate» (nel racconto). E paure. All’analista Tommaso racconta le paure, la paura di non soddisfare una donna, di non essere all’altezza, come a quattordici anni con la prima ragazza, che umiliazione... subito a sfogarsi col padre che lo rassicura: «Non è successo niente, mettiglielo in mano e andrà tutto a posto» (nel racconto). Ma Tommaso non è mai riuscito ad avere la disinvoltura del padre, lui è un’altra cosa. Cosa? Alla domanda dell’analista, come ti senti, Tommaso elenca: perso, solo, incagliato...
Dunque stavolta Tommaso si dibatte in questo di mondo. Un mondo che gli consegna l’autore: sbilanciato, figli al posto di genitori, genitori al posto di figli. Eccola la madre, ormai presente, l’abbandono lontano (l’abbiamo vista tornare in Anche li
bero va bene). Eccola capricciosa, ingombrante, sentimentale, ricattatoria, piena di richieste per il figlio, ora una macchina nuova, ora un aiuto economico, ora una voliera, mi regali una voliera per i pappagalli, quanto vorrei una voliera... Che sia questa l’origine di tutto? Di quel
perso solo incagliato? Che Tommaso non debba iniziare da lei per risolvere i problemi con le donne? Banalmente dalla madre, magari chiedendole perché te ne sei andata, perché mi hai abbandonato. Il racconto finisce con questa presa di coscienza. Non è una storia a tesi, non indica una strada.
L’opera di Kim Rossi Stuart nel complesso — da Anche libero va bene a Tom
maso, passando per il racconto — è allora ricerca, atto di responsabilità, a volte fuga, ripensamento, dubbio, comunque sempre desiderio, un desiderio lungo tredici anni. Di cosa? «Alessandro è stato un incontro raro, di cui avevo un disperato bisogno. Posso dire di averlo cercato senza sosta, andando letteralmente a bussare alle porte di case e scuole», dice Kim Rossi Stuart di Alessandro Morace, l’attore che interpreta Tommi in Anche libero va bene. Che stia parlando di Alessandro, di Tommaso, di un padre o di un figlio, poco importa, comunque è quella persona — bambino adulto, perso solo incagliato — che l’autore ha cercato e desiderato da sempre. E no, non è se stesso. È qualcuno di più piccolo che sta crescendo. Una generazione.